Alle radici della rabbia

Senza un programma coerente e una voce comune, i gilet gialli non rappresentano una vera alternativa politica. Ma alcuni
dei problemi che pongono meritano risposte.

I francesi sono abituati ai grandi movimenti che appaiono all’improvviso con barricate, manifestazioni di piazza, violenze e atti vandalici e obbligano il potere a fare marcia indietro su provvedimenti impopolari. In questo senso i gilet gialli non hanno niente di eccezionale. Non è insolito che un movimento con un forte impatto sulla vita quotidiana dei francesi mantenga comunque il sostegno della maggioranza della popolazione. In questi casi, più che i manifestanti, è il governo a essere ritenuto responsabile dei problemi, per la sua mancanza di disponibilità al confronto e per l’incapacità di gestire gli eccessi violenti di chi protesta.

Il malcontento è diffuso in tutto il paese, anche se è difficile comprendere quale parte della popolazione si sia mobilitata e se il movimento esprima un malessere condiviso dalla maggioranza dei francesi. Ai tempi dei grandi scioperi del 1995 si parlò di “sciopero per procura” per spiegare i motivi per cui i cittadini, fortemente penalizzati dai blocchi del trasporto pubblico, sostenevano comunque i manifestanti. Al di là delle specifiche rivendicazioni di categoria, buona parte dei francesi considerava lo sciopero uno strumento per punire il presidente della repubblica Jacques Chirac, che era stato eletto grazie alla promessa di rimarginare la “frattura sociale” ma aveva poi messo in atto politiche di austerità.

Più in generale, la cultura politica francese ha una grande tolleranza nei confronti dell’espressione della conflittualità sociale, considerata un segno di vitalità democratica. Tra l’altro in Francia il movimento sindacale, in contrasto fin dall’ottocento con le forme di azione diretta dell’anarco-sindacalismo, è rimasto numericamente limitato (la Cfdt, la prima sigla sindacale del paese, ha meno di un milione di iscritti) e non ha mai raggiunto l’adesione tipica delle socialdemocrazie.

Gilet gialli, Champs-Elysées a Parigi, Francia. Il 24 Novembre 2018. Photo source: Wiki Commons

Non c’è da sorprendersi, dunque, se i movimenti nascono dal basso, in modo informale e senza contatti con le organizzazioni sindacali e politiche. Questo li rende difficili da inquadrare per il governo. E abbiamo già visto, in occasione delle proteste studentesche del 2006, che queste mobilitazioni possono dimostrare una straordinaria capacità di coordinamento e una grande efficacia nel sostenere le loro rivendicazioni.

Tra città e provincia

Negli ultimi anni le sigle sindacali sono state spesso scavalcate dalla base perfino nei movimenti nati al loro interno, incapaci di strutturare la protesta e di trarne legittimità. I sindacati seguono i movimenti per dare l’impressione di avere un ruolo nelle proteste, ma la loro influenza è chiaramente in calo. Resta il fatto che, in tempi recenti, nessuna manifestazione aveva costretto il governo a fare un passo indietro: né la Manif pour tous del 2012- 2013 (manifestazione per tutti, la mobilitazione conservatrice contro i matrimoni gay) né la Nuit debout del 2016 (nata a sinistra per protestare contro la riforma del diritto del lavoro). Con il movimento dei gilet gialli il rifiuto di una rappresentazione politica e sindacale ha raggiunto l’apice, portando a una totale impasse. Nessuna delegazione accetta di parlare con il primo ministro: alcuni rifiutano l’idea stessa di “rappresentare” la base, altri hanno rinunciato dopo aver ricevuto minacce sui social network.

Il superamento di ogni forma di mediazione modifica anche l’azione militante e politica. In questo caso, a lanciare i gilet gialli è stata una petizione online per chiedere “la riduzione del prezzo dei carburanti”, che in pochi giorni ha raccolto un milione di firme. Per questo il governo non ha saputo prevedere la forza del movimento e trovare una risposta alle sue rivendicazioni. Per i giornalisti è stato impossibile fare reportage dalle rotonde stradali bloccate: alcuni sono stati tenuti alla larga dai blocchi stradali, altri sono stati aggrediti.

Tutti gli osservatori hanno sottolineato l’eterogeneità dei gilet gialli, il loro scarso coordinamento e l’assenza di rappresentanti ufficiali. Questo ha portato alla diffusione di notizie false, impossibili da correggere o smentire. Secondo i resoconti pubblicati dai giornali, in blocchi stradali lontani appena pochi chilometri la situazione poteva essere molto diversa: da una parte un ambiente amichevole e comportamenti responsabili, dall’altra tensioni, minacce e violenze. Spesso i gilet gialli attivi di giorno erano diversi da quelli che si mobilitavano la notte.

La geografia delle barricate ha partorito diverse analisi, il più delle volte basate su informazioni incomplete e discutibili. Alcuni hanno parlato di rivolta delle regioni rurali dell’est e del centro della Francia. In effetti, i centri delle città e i sobborghi non sono stati coinvolti dalle contestazioni. Tuttavia con il proseguire delle manifestazioni questa prima analisi è stata messa in discussione ed è stato dimostrato che la stragrande maggioranza dei centri dove sono stati organizzati i blocchi stradali si trova nei pressi di grandi aree urbane. Le mobilitazioni hanno coinvolto soprattutto gli spazi urbani intermedi, le stazioni ferroviarie, le rotonde stradali e i centri commerciali attraversati dai pendolari che ogni giorno percorrono grandi distanze per raggiungere il posto di lavoro.

Da questo punto di vista, l’automobile è il simbolo e l’elemento scatenante di una rivolta di cittadini che subiscono i costi e gli inconvenienti della mobilità. La protesta degli automobilisti è alimentata dallo stesso malcontento che aveva attraversato il paese già la scorsa estate, quando il governo aveva deciso di abbassare il  limite di velocità sulle strade statali da novanta a ottanta chilometri orari. Il provvedimento, fortemente contestato, aveva provocato un calo della popolarità del governo nei sondaggi. In una serie di atti vandalici commessi durante le manifestazioni dei gilet gialli è stata distrutta la metà dei rilevatori che registrano le infrazioni dei limiti di velocità. Lontano dai grandi temi politici che avevano monopolizzato la campagna elettorale per le presidenziali, questo problema legato alla vita quotidiana evidenzia un forte attaccamento alla cultura dell’auto privata come oggetto di consumo e simbolo di autonomia individuale.

Ma cosa possiamo dire dei gilet gialli sotto il profilo dell’analisi sociologica? Chi sono i manifestanti?

È difficile descrivere un movimento poco esteso (circa 350mila persone al culmine della mobilitazione) sparpagliato su tutto il territorio nazionale. I suoi interventi, spesso confusi, mescolano rivendicazioni poco coerenti (meno tasse e più servizi pubblici). Secondo uno studio realizzato alla fine di novembre da un gruppo di ricercatori universitari nelle città di Bordeaux, Marsiglia, Caen, Rennes, Montpellier e Grenoble, su un campione limitato, emerge che i gilet gialli sono soprattutto persone che lavorano o hanno lavorato, appartenenti alla classe operaia o alle classi medio-basse. La categoria sociale più rappresentata è quella degli impiegati (45 per cento), nettamente più numerosi degli operai (14 per cento). Altrettanto rappresentato è il gruppo degli artigiani, dei commercianti e dei piccoli imprenditori. I pensionati costituiscono un quarto dei gilet gialli. Gli over 65 sono il 17,3 per cento, mentre i giovani tra 18 e 24 anni sono appena il 6,2 per cento. Metà degli intervistati ha dichiarato di pagare le tasse e l’85 per cento ha dichiarato di possedere un’automobile.

Per circa la metà degli intervistati (47 per cento) partecipare alle iniziative dei gilet gialli è stata la prima esperienza di protesta. Come prevedibile, gli intervistati sono contrari al coinvolgimento nelle proteste delle tradizionali organizzazioni rappresentative, i sindacati e i partiti. Il 33 per cento si dichiara apolitico, né di destra né di sinistra. Tra quelli che si schierano, invece, il 15 per cento si definisce di estrema sinistra, il 5,4 per cento di estrema destra, il 42,6 per cento di sinistra e il 12,7 per cento di destra. Sono cifre molto diverse rispetto a quelle emerse da un’altra ricerca sulla popolazione francese in generale, che evidenzia un forte sostegno ai gilet gialli da parte dei simpatizzanti di estrema destra.

Benzina o gasolio

Le ragioni della collera sono tanto concrete quanto confuse: concrete perché la miccia che ha fatto scoppiare la mobilitazione è stata l’aumento del prezzo del carburante; e confuse perché le rivendicazioni si sono sviluppate fino a comprendere la richiesta di dimissioni del presidente della repubblica e l’instaurazione di un nuovo regime politico.

Tre temi si sono sovrapposti fino ad allargare lo spettro delle rivendicazioni. Il primo motivo di malcontento riguarda la fiscalità “verde”, ovvero la condivisione degli sforzi economici per finanziare il passaggio a fonti energetiche rinnovabili. Nel 2014 il governo ha introdotto una tassa speciale sul carburante (la cosiddetta Contribution climat-énergie) che avrebbe dovuto incentivare comportamenti meno nocivi per l’ambiente. La tassa, che sarebbe dovuta aumentare progressivamente fino al 2022, ha portato 6,4 miliardi di euro nelle casse dello stato nel 2017 e 9,1 miliardi nel 2018. Tuttavia questa crescita si è accompagnata a un aumento del prezzo del petrolio nel mondo e a un rincaro del gasolio.

Dopo aver incoraggiato l’acquisto di auto diesel tassando il gasolio meno della benzina, le autorità francesi hanno invertito la rotta imponendo tasse uguali sui due carburanti, un passo necessario ma preparato male e non gradito dai cittadini. I francesi che usano spesso l’auto e che avevano scelto il diesel hanno subìto gli effetti della nuova politica e si sono sentiti doppiamente penalizzati: da una parte per la fine dei vantaggi concessi per il gasolio, dall’altra per l’aumento generale del prezzo dei carburanti. Quella parte della popolazione che non poteva cambiare il suo mezzo di trasporto non ha accettato una misura considerata ingiusta, in quanto rivolta proprio a chi non può fare a meno dell’auto. Il governo ha risposto sospendendo per il 2019 l’aumento della Contribution climat-énergie, ma questa concessione è sembrata insufficiente, anche perché nel frattempo le rivendicazioni si sono nettamente ampliate.

Al di là del problema dell’ato, infatti, il movimento dei gilet gialli ha espresso un malessere profondo per la stagnazione del potere d’acquisto dei ceti medio-bassi. Anche per le famiglie con un reddito medio le spese ineludibili (casa, assicurazioni, trasporti) sono sempre più pesanti, e questo riduce la percentuale di reddito disponibile. Pur senza ritrovarsi in condizioni di povertà, buona parte delle famiglie francesi vive in ristrettezze. La crisi del 2008 ha portato uno stallo dei redditi, mentre la pressione fiscale è aumentata molto durante la presidenza di François Hollande (2012-2017). Con la presidenza di Emmanuel Macron le tasse sono ulteriormente cresciute, soprattutto per i pensionati. Il governo ha cancellato l’imposta sui grandi patrimoni (la cosiddetta Isf ), considerata un simbolo di giustizia fiscale, in nome del rilancio degli investimenti. In questo modo ha dato l’impressione di condurre una politica squilibrata a favore dei redditi più alti e contro le classi medie.

Anche se nel programma di Macron erano previsti sgravi fiscali per l’80 per cento dei contribuenti, questi provvedimenti non si sono ancora concretizzati. E pur avendo promesso un grande confronto sulla spesa pubblica, il presidente ha escluso di ripristinare l’Isf – una tassa che produce poche entrate e senza un coordinamento della fiscalità europea favorisce l’esilio fiscale dei grandi patrimoni – dando così l’impressione di non aver tenuto conto della rabbia dei gilet gialli.

Deficit di democrazia

Le rivendicazioni del movimento dei gilet gialli riguardano anche la democrazia. I gilet gialli pretendono visibilità, rispetto e legittimità politica. Il loro è un attacco all’indifferenza di chi rappresenta il potere, che in un sistema molto centralizzato come quello francese è identificato inevitabilmente con Parigi. La collera nei confronti dei simboli parigini esprime il rifiuto di un processo decisionale troppo verticale e accentrato. La stessa critica è rivolta al presidente della repubblica, ritenuto altezzoso, distante e indifferente alle difficoltà quotidiane dei cittadini.

Macron sconta la sua mancanza di esperienza politica, il suo scarso legame con le realtà locali, ma anche un esercizio del potere spesso solitario e un orgoglioso distacco dalle masse. Questo fallimento personale è tanto più sorprendente se si considera che in campagna elettorale aveva sottolineato la necessità di un nuovo modo di fare politica. Macron aveva lanciato la sua candidatura promettendo di “ascoltare” i francesi e organizzando una “grande marcia” per raccogliere i consigli della popolazione prima di elaborare le sue proposte.

Macron ha saputo portare avanti una campagna elettorale partecipativa (ispirata ai comitati locali dello statunitense Barack Obama), ma non ha tratto le giuste conclusioni sull’esercizio del potere. Non ha dato seguito alla richiesta di partecipazione emersa dai cittadini, arrivando a marginalizzare anche il suo partito, la République en Marche.

Emmanuel Macron ha assunto il ruolo di presidente della repubblica esattamente per come è stato definito nella quinta repubblica: un ruolo che concentra molti poteri e altrettante responsabilità. Considerato che in Francia i poteri intermedi sono tradizionalmente deboli, che alle ultime elezioni i partiti tradizionali sono crollati, che il parlamento non ha un vero potere decisionale e che il governo è composto da figure senza grande peso politico, Macron è sostanzialmente isolato al vertice del potere. La sua forza istituzionale è diventata la sua debolezza politica. Il presidente si trova direttamente esposto alla collera popolare: una rabbia che non ha i mezzi per contenere e con cui non può dialogare. Per uscire da questo pericoloso isolamento bisognerebbe definire un nuovo equilibrio tra i poteri e democratizzare il processo politico. Ma finora sul tema non ci sono state proposte serie.

La sintesi necessaria

Dal movimento dei gilet gialli arrivano pochi elementi positivi per la società francese. L’indebolimento dei corpi intermedi, l’assenza di una cultura del dibattito e del compromesso, la sfiducia nei confronti dei politici e delle élite sono fenomeni sempre più diffusi e profondi. La rabbia dei gilet gialli è l’espressione di un malessere sociale a cui è possibile rispondere con misure di equità fiscale e ridistribuzione. Ma allo stesso tempo questo conflitto sociale è ancora oscuro e difficile da comprendere.

La protesta non ha aiutato la società francese ad avere un’immagine più lucida di se stessa. Certo, ha permesso a un settore poco visibile della popolazione di prendere la parola. Ma l’assenza di rappresentanti e di portavoce, le rivendicazioni confuse e le azioni non coordinate hanno reso il messaggio dei manifestanti poco chiaro.

Quale può essere lo sbocco politico di un movimento di consumatori, animato dalla classe media? Nelle settimane delle mobilitazioni e dei blocchi stradali non si è parlato di banlieue, di discriminazione, di esclusione sociale, di povertà e dei giovani, tutti problemi che di certo non sono meno importanti di quelli denunciati dai gilet gialli. La questione delle misure a favore della transizione energetica è finita ai margini del dibattito e sarà difficile riportarla in primo piano.

Oggi sarebbe necessario trovare una sintesi tra tutela dell’ambiente, priorità economiche e difesa del modello sociale francese. Ma il programma di rilancio dell’economia attraverso gli investimenti proposto da Macron non offre grandi prospettive in questo senso. E il movimento dei gilet gialli non dà indicazioni su un modello alternativo. Intanto, i sondaggi mostrano che a trarre beneficio dalla situazione attuale potrebbe essere la leader di estrema destra Marine Le Pen. La crisi democratica sembra più intricata che mai.

Published 7 February 2019
Original in French
First published by Eurozine (in English and French) / Internazionale 1290 (in Italian)

Contributed by Internazionale 1290 © Marc-Olivier Padis / Eurozine / Internazionale

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