Addio al mar di Marmara

Nel 1996 pescai un sugarello. Era il mio primo pesce: fu mio zio a farmi vedere come prenderlo. Eravamo sul mar di Marmara, e la piccola barca a vela beccheggiava mentre l’esca luminosa scompariva nelle acque cristalline con i suoi dieci piccoli ami. İsmet, mio zio, era un turco originario di Kirkuk, una città dell’entroterra dell’Iraq. Pescare dopo il tramonto per lui era un sogno, e mi disse di godermi il momento: “Questa è la vita!”.

Approdammo trionfanti al molo di legno della nostra casa estiva. Poco prima di cena portai i secchi in cucina. I grilli cominciavano a cantare mentre le case dei vicini sprofondavano nel silenzio. Zio İsmet si mise a cuocere i pesci sulla brace. Seduti intorno a un piccolo tavolo, i miei familiari mangiavano e bevevano rakı, la bevanda nazionale turca; zio İsmet me ne offrì un sorso. Ne presi più di qualcuno, commettendo l’errore da principiante di mescolare il liquore con la birra gelata. Sulla veranda, mentre ascoltavo In utero dei Nirvana, cominciò a girarmi la testa.

Quelle stesse acque un tempo erano il cuore di una grande civiltà, capace d’ispirare poeti e pittori e di dare vita a una ricchissima tradizione culinaria. Ancora oggi sono uno dei motivi principali per cui continuiamo a vivere qui. Il mar di Marmara ci dà tranquillità nei momenti di ansia; Orhan Pamuk, il più grande cantore di Istanbul, ha scritto: “Non esiste un problema che una passeggiata lungo il Bosforo non possa risolvere”. Quando l’app per la meditazione Headspace mi ricorda che “appena sopra le nuvole, c’è sempre il cielo azzurro”, penso sempre che il mar di Marmara assolve alla stessa funzione.

Ora, un quarto di secolo dopo, mi rendo conto che mangiare il pesce appena pescato è un’esperienza che appartiene al passato. Lo scorso maggio uno spesso strato di mucillagine marina, una sostanza organica gelatinosa detta volgarmente muco di mare, ha reso opaco questo grande mare interno che collega l’Egeo al mar Nero, facendo strage della fauna marina. All’inizio, la gente del posto si è irritata perché i mezzi d’informazione internazionali sembravano quasi attratti dallo spettacolo. Anch’io l’ho visto, a giugno, mentre salivo sul traghetto: una specie di miraggio, come se la terra tracimasse nel mare. Tutto ciò che era liquido era diventato solido, sembrava la pelle di un malato terminale.

Poco dopo, nei laghi e nei fiumi che circondano il mar di Marmara hanno cominciato a morire i pesci. Sul lago di Küçükçekmece, una laguna che si trova sulla sponda europea del mar di Marmara, le onde hanno portato a riva centinaia di pesci morti. Sullo stretto del Bosforo i canottieri non riuscivano più a remare perché la superficie era diventata troppo densa. La mucillagine ha ingolfato le eliche dei motori fuoribordo; i pescatori mostravano alle telecamere le reti coperte dalla sostanza viscida. La stagione della pesca è finita, hanno detto. Secondo i sub professionisti la maggior parte dei pesci è migrata verso acque più profonde. La visibilità è scesa a meno di mezzo metro sotto la superficie. La fauna marina intorno al mar di Marmara si stava estinguendo.

Questa sostanza del colore delle nuvole sta prosciugando la fonte della mia tranquillità, e il mar di Marmara boccheggia davanti ai nostri occhi. Gli esperti prevedono che presto un odore di uova marce si spanderà per tutta la città. Per tutti quelli che vivono a Istanbul, la morte del mar di Marmara è una questione personale, e trovare i responsabili è un dovere morale.

Nell’antichità classica, la città greca di Bisanzio (il più antico nome di Istanbul) doveva la sua fortuna al pesce ed era conosciuta come “la patria dei tonni”. Le fonti di profitto della città erano principalmente due: il pedaggio imposto alle navi che attraversavano il Bosforo e la pesca.

Proprio di fronte a Bisanzio c’era la sua grande rivale, Calcedonia (oggi Kadıköy). Le due città si contendevano il primato nella pesca, ma Bisanzio era avvantaggiata dalla corrente del Bosforo, che spingeva i banchi di sgombri verso le sue acque. Secondo la leggenda, i pesci nuotavano fino a uno scoglio bianco splendente nel Bosforo per poi cambiare direzione, avvicinandosi al Corno d’oro di Istanbul e andando a finire in mani bizantine. Per celebrare questa abbondanza, i pescatori bizantini sacrificavano una tonnellata di tonno a Poseidone, chiedendo agli dei di aiutarli nella battuta di caccia successiva.

Nella Politica, Aristotele cita i pescatori di Bisanzio parlando delle diverse classi della vita pubblica. In primavera sceglievano una collina affacciata sul mar di Marmara, si arrampicavano su un albero e da lì controllavano i movimenti dei pesci. Quando individuavano un banco particolarmente nutrito, gridavano con tutto il fiato che avevano in gola per avvertire i loro compagni di gettare le reti.

In Pesce e pesca nella Istanbul dei tempi antichi (2010) lo storico Oğuz Tekin osserva che Derkos, una laguna nel mar di Marmara, era ricca di pesce fin dall’epoca bizantina. Le migliori zone per la pesca erano Baltalimanı, Tarabya, il Corno d’oro e le isole dei Principi. I pescatori usavano gli arpioni per cacciare i delfini, e la pesca era un aspetto talmente importante della vita che la città di Bisanzio emise una moneta di bronzo – detta Sabina, come la moglie dell’imperatore Adriano – che su un lato aveva una coppia di tonni.

Anche i quartieri di Istanbul prendevano i loro nomi dai pesci: il toponimo Dionysios Ostredoes veniva dalle ostriche. Oggi il quartiere si chiama Tophane ed è sede del Museo dell’innocenza, dove è esposta la replica di un pesce consumato da uno dei personaggi del romanzo eponimo di Orhan Pamuk.

All’interno del mar di Marmara si possono distinguere due sistemi di correnti: una che va dal mar Nero all’Egeo, l’altra che va dal mar di Marmara al mar Nero. Le due correnti scorrono a livelli diversi: il mar Nero è 30-40 centimetri al di sopra del mar di Marmara. Il primo a notare la differenza fu lo scienziato naturalista italiano Luigi Ferdinando Marsili, nel 1681. A causa di questo dislivello, osservava Marsili, il mar di Marmara era in realtà composto da due mari.

Le creature marine del mar Nero, capaci di tollerare sbalzi significativi di temperatura dell’acqua e livelli di sale, vivevano nella corrente superiore; più in basso viveva invece la fauna del mar Mediterraneo, caratterizzata da minori capacità di adattamento. La coesistenza di queste correnti creava un flusso migratorio unico: durante l’inverno, i tonni e gli sgombri si spostavano dal Mediterraneo, dall’Egeo e dal mar di Marmara verso il mar Nero; con l’avvicinarsi della stagione fredda, attraversavano il Bosforo e procedevano verso il mar di Marmara. In autunno, quando i venti freddi provenienti da nord spazzavano il mar Nero, i primi sgombri si spostavano nel Bosforo per poi fare ritorno nel mar Nero all’inizio della primavera. Nel 2004, durante gli scavi del porto bizantino di Theodosius (l’attuale Yenikapı), gli archeologi trovarono ossa di tonni, sgombri e delfini, testimonianze di una cultura costruita sulla migrazione dei pesci.

Nel 1915 Karekin Deveciyan, direttore dell’ufficio della pesca di Istanbul, pubblicò Pesci e pesca in Turchia, uno dei primi studi scientifici sull’argomento. Deveciyan era un armeno nato nell’antica città ottomana di Harput, e aveva ricoperto vari incarichi legati alla pesca per la burocrazia ottomana. La sua passione, però, erano i libri. Avendo dedicato anni alla classificazione dei pesci del mar di Marmara, grazie ai fondi pubblici riuscì a pubblicare un manuale la cui edizione in lingua francese, Pêche et pêcheries en Turquie, vide la luce nel 1926. “Ho contato ogni spina e osso di tutte le specie dei pesci del mar di Marmara”, scrive nell’introduzione, specificando di aver consultato i pescatori della zona per l’opera.

Deveciyan viveva in un’epoca di abbondanza. A Derkos, negli anni venti i pescatori prendevano più di centomila chilogrammi di pesce l’anno. Nel suo libro vengono identificate 124 specie ittiche d’importanza commerciale nel mar di Marmara e sono elencate 42 peschiere nelle acqNel 1964, quando morì Deveciyan, il mar di Marmara abbondava ancora di pesce. “La biodiversità del Bosforo è rimasta molto ricca fino agli anni settanta”, scrive Asaf Ertan, un ex pescatore che aveva tra i suoi antenati un marinaio ottomano di nome Ömer Ağa. Nel 1389 Ağa aveva aiutato il sultano Bayezid I a costruire una fortezza alla bocca del fiume Göksu. Nel suo libro di memorie, Pescare sul Bosforo (2010), Ertan descrive con tono nostalgico le foche che si rifugiano nelle rimesse delle ville diroccate sul Bosforo e i pescatori che legano le reti alle ringhiere delle finestre, in una coesistenza armoniosa di città e mare.

A partire dagli anni ottanta, tuttavia, l’inquinamento ha ridotto in modo drastico il numero di specie. Già alla fine degli anni settanta, le 127 specie elencate da Deveciyan nel 1915 si erano ridotte a sessanta; nel 2010 erano scese a venti. Per capire cosa è successo in questi trent’anni mi sono rivolto a Levent Artüz, un importante idrobiologo turco il cui nonno, Cemal Artüz, è stato il fondatore della Fondazione turca per la biologia.

Anche İlham Artüz, il figlio di Cemal, ha dedicato la vita allo studio del mar di Marmara: nel 1954 lanciò il progetto Marem (“Cambiare le condizioni oceanografiche del mar di Marmara”) insieme al biologo Olav Aasen. Levent rappresenta quindi la terza generazione di studiosi del mar di Marmara. Dopo la morte del padre ha preso lui in mano il progetto Marem e si è messo a dare lezioni di oceanografia e inquinamento marino ai suoi colleghi. “Sono nato nel Bosforo”, dice. “Ho passato gli anni dell’adolescenza a fare immersioni, a navigare, a cimentarmi in quasi tutti gli sport acquatici. La mia infanzia è stata popolata da studiosi del mare, grazie a mio padre”.

Artüz sostiene che i guai del mar di Marmara sono arrivati nell’ottobre del 1989, quando il mare ha cominciato a trasformarsi in una cloaca a cielo aperto. “Prima era un mare sano”, dice. “L’unica preoccupazione era l’inquinamento in superficie in prossimità delle città industriali. L’acqua è sempre stata cristallina, perciò ogni volta che in superficie si vedeva un po’ di sporcizia per la gente era un problema”.

Poi c’è stata la rapida industrializzazione intorno al Corno d’oro e il proliferare delle fabbriche lungo la costa, che hanno scaricato i loro rifiuti tossici nel mare. Ricordo che negli anni ottanta tiravamo su i finestrini della macchina per non respirare il terribile fetore che circondava la zona, un misto di merda e uova marce. Per correre ai ripari l’amministrazione locale lanciò un progetto di bonifica del Corno d’oro, che ha avuto però l’effetto collaterale di aprire la strada all’attuale crisi della mucillagine. Il sindaco di Istanbul, Bedrettin Dalan, prometteva: “Farò diventare il Corno d’oro azzurro come i miei occhi”. Un progetto finanziato dalla Banca mondiale avrebbe dovuto creare nella zona il più grande impianto di trattamento delle acque reflue al mondo. Situato a Baltalimanı, l’impianto avrebbe dovuto occuparsi della trasformazione di tutte le acque reflue provenienti dalla parte asiatica di Istanbul.

Alla fine, invece, le autorità hanno optato per una tecnica nota come scarico delle acque reflue in profondità. La corrente verso est è stata utilizzata come una specie di nastro trasportatore, con l’obiettivo di spingere la sporcizia del Corno d’oro verso il mar Nero. Questo metodo è stato utilizzato anche dal successore di Dalan, il socialdemocratico Nurettin Sözen, eletto nel 1989 (nel 1994, quando è diventato sindaco di Istanbul, Recep Tayyip Erdoğan ha confermato il progetto, che è in vigore ancora oggi).

Alla fine del 1989, a poche settimane dal lancio del sistema di scarico in profondità, il mar di Marmara si è ricoperto di gigantesche chiazze rosse per l’esplosione della popolazione di ctenofore, una specie di meduse. Tra Üsküdar, Kartal e le isole dei Principi sono morti i primi pesci. Tre anni dopo, le acque sono diventate di un colore verde intenso. Nel settembre 1995 sono state invase dalle noci di mare e i pescatori non sono riusciti a pescare per due anni. Gli scienziati hanno trovato tracce di veleno nelle vongole bianche, un tempo fonte di ricchi profitti, a causa di un organismo marino chiamato fitoplancton, che è anche alla base della crisi della mucillagine. Nel 2000 la pesca delle vongole è stata vietata. Nel 2010 il numero delle specie ittiche è sceso a cinque. I ricci di mare si sono impadroniti di quasi tutte le coste di Istanbul, e nel 2012 le acque sono diventate dominio di specie invasive come il pesce palla. Secondo Artüz ormai non si può più tornare indietro. “Abbiamo perso il mar di Marmara nel 1989, non c’è più niente da fare”.

Per Bülent Şık, uno degli esperti di salute pubblica più critici in Turchia, il mar di Marmara era un sogno. L’ha visto per la prima volta nel 1977, quando aveva dieci anni. Era giugno, la scuola era appena finita e Şık era elettrizzato all’idea di attraversare per la prima volta il ponte sul Bosforo, inaugurato nel 1973. “Il cuore mi batteva all’impazzata”, ricorda. Passò le vacanze lì con la sua famiglia, facendo il bagno nella laguna di Küçükçekmece.

Şık ha dedicato più della metà della sua vita professionale a servire lo stato. Come consulente per la sicurezza alimentare del ministero dell’agricoltura ha sgobbato in laboratorio, ha analizzato sostanze chimiche tossiche, ha scritto relazioni sull’inquinamento idrico e, nel 2018, ha fatto alcune rivelazioni scottanti sulla presenza di sostanze tossiche nel mar di Marmara in una serie di articoli per il giornale di opposizione Cumhuriyet.

Şık è venuto in possesso di queste informazioni tra il 2010 e il 2015, quando, parallelamente al suo impegno presso il Centro di ricerca sulla sicurezza alimentare e agricola dell’università di Akdeniz, lavorava per il progetto governativo Salute ambientale pubblica. Il suo incarico consisteva nel documentare i casi d’inquinamento idrico e alimentare a Kocaeli, Edirne, Kırklareli e Tekirdağ, e valutare un’eventuale correlazione tra la presenza di sostanze chimiche tossiche nelle città del mar di Marmara e l’aumento dei casi di tumori nella zona. “Abbiamo scoperto che il fiume Ergene era molto inquinato e abbiamo identificato le sostanze inquinanti portate dalle sue acque nel mar di Marmara”.

Nonostante le rivelazioni di Şık, a partire dal dicembre 2020 il governo ha cominciato a pompare tutte le acque contaminate dell’Ergene nel mar di Marmara. “Avendo consultato la letteratura sull’argomento posso dire con sicurezza che il sistema introdotto da Dalan, proseguito sotto Sözen e portato all’estremo da Erdoğan, va contro la teoria scientifica dello scarico profondo”, dice Şık. Anziché depurare le acque, aggiunge, “hanno preso tutta la sporcizia, l’hanno mischiata con i rifiuti domestici e agricoli e hanno scaricato tutto fra i trenta e i cinquanta metri sotto la superficie del mare. È l’equivalente di nascondere la polvere sotto il tappeto”.

Eppure, il sistema è rimasto in piedi per trentadue anni. È stato adottato anche in città come Tekirdağ, Bursa e Kocaeli: tutte le case di villeggiatura, i villaggi turistici e le zone residenziali intorno al mar di Marmara praticano lo scarico in profondità e pompano rifiuti in questo mare un tempo incontaminato. “Se le cose continueranno perderemo sicuramente il mar Nero, e stiamo mettendo seriamente a rischio anche l’Egeo”, dice Artüz.

Come se non bastasse, osserva Şık, la crisi della mucillagine rischia di far scoppiare un’epidemia di colera (un precedente focolaio, scoppiato nel 1970, fece circa cinquanta vittime). “Lo strato di mucillagine crea un ambiente ideale per il batterio E. coli, i cui livelli sono aumentati di mille volte dopo la comparsa dell’alga”, spiega Şık. “Crisi di salute pubblica come queste sono inevitabili quando crolla un ecosistema”.

Nel maggio scorso, quando l’aumento delle temperature marine ha rivelato la presenza della mucillagine, la prima domanda che tutti si sono posti è se si potesse continuare a fare il bagno o andare a pescare. “Come facciamo a pulire questa schifezza?”, si chiedeva la gente. Era come se l’inquinamento non fosse opera nostra ma del mar di Marmara, di cui non ci siamo mai occupati se non quando ne abbiamo avuto bisogno. Per cercare di risolvere il problema e ripulire la superficie il ministero dell’ambiente turco ha cominciato (invano) a raccogliere la mucillagine fin dall’inizio dell’estate di quest’anno. È stata perfino organizzata una grande conferenza sulla mucillagine e varato un piano d’azione in ventidue punti.

Si tratta, nella migliore delle ipotesi, di palliativi. “A che serve?”, chiede Artüz. “Il mar di Marmara si era già trovato in questa situazione cinque anni fa. Non è stato fatto niente per proteggerlo, finché non è rimasto senza ossigeno. Cosa fai se ti scoppia un incendio in casa? Prima di tutto chiudi il gas e l’elettricità, poi chiami i pompieri. Il governo, invece, organizza tavole rotonde. Prima bisogna chiudere il gas e l’elettricità, altrimenti l’incendio divampa”.

Siamo abituati a osservare la natura attraverso la poesia e la musica e a trattarla come un bellissimo dono da apprezzare. Ma la natura è spietata. Va per la sua strada, e quando noi le sconvolgiamo i piani può prendere forme nuove e allarmanti. Forse, a questo punto, il meglio che possiamo fare è ricordare la storia del mar di Marmara. “Poco a poco, abbiamo ucciso questa cultura; non è rimasto molto”, dice Artüz.

Istanbul è una città d’importanza globale, ma ancora non ha un museo di storia naturale dove i bambini possano imparare a conoscere le specie del Bosforo. Cosa sappiamo di tante specie specifiche del mar di Marmara che prendono il nome dalla città? Niente. E finché non ne sapremo niente, questa cultura continuerà a scomparire.

Nella regione del mar di Marmara vivono circa 24 milioni di persone, il 30 per cento della popolazione turca, perciò qualcuno dirà che l’inquinamento è inevitabile. Ma gli interventi edilizi sempre più folli smentiscono questa tesi: il canale di Istanbul, un progetto molto sostenuto da Erdoğan, creerà una via navigabile artificiale al livello del mare per collegare il mar Nero al mar di Marmara, dando il colpo finale alla patria dei tonni. “Tutto quello che possiamo fare dobbiamo farlo adesso”, dice Şık.

Il primo passo è fermare il progetto del canale di Istanbul. Chi insiste a volerlo è consapevole anche di quali saranno le conseguenze per l’inquinamento del mar di Marmara. Per rendersene conto basta leggere una relazione: ci vogliono 40 minuti. Non è una questione d’ignoranza. Il problema, sostiene Şık, sono i grandi gruppi industriali legati al governo, che antepongono i loro interessi economici alla salute pubblica. “Ogni aspetto dei nostri mari e delle nostre lagune è visto come una potenziale fonte di profitto”.

Gli esperti come Şık e Artüz sono stati ignorati per anni. Dopo le rivelazioni sull’inquinamento idrico, il governo ha addirittura provato a mettere Şık in galera: nel 2019 è stato condannato a 15 mesi di reclusione, è stato prosciolto qualche mese fa. Quattro anni fa Artüz ha scritto un libro intitolato Storia recente dell’inquinamento del mar di Marmara, ma gli editori turchi lo hanno ignorato. Oggi finalmente il libro ha attirato la loro attenzione. “Cinque dei principali editori del paese mi hanno contattato per pubblicare il manoscritto”, dice ridendo. “Probabilmente ci sono tanti libri come il mio che non vedranno mai la luce”. Eppure, osserva, la mucillagine minaccia la cultura turca in generale.

Negli ultimi cinque anni la pace del Bosforo è stata rimpiazzata dalla cultura del martirio, e anche il nome ufficiale del ponte del Bosforo è stato cambiato in ponte dei Martiri. L’università del Bosforo, l’istituto di istruzione superiore più prestigioso del paese, è sotto attacco da parte del governo, che vorrebbe addomesticarla riempiendola d’insegnanti fedeli al regime.

Eppure, nonostante la retorica accesa e i gravissimi problemi d’inquinamento, nonostante i piani che minacciano di danneggiare ancora di più il mar di Marmara, questa cultura fluida continua a scorrere. La speranza è che sopravviva all’ignoranza e alla malafede di chi sta distruggendo il mar di Marmara. Chi ama questo mare non li perdonerà mai.

Published 29 October 2021
Original in English
First published by Eurozine (English version) / Internazionale 1425 (Italian version)

Contributed by Internazionale © Kaya Genç / Eurozine / Internazionale

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