Matera

Dopo un illustre passato di «città laboratorio», Matera oggi è di nuovo al centro dell’attenzione per la proclamazione a Capitale europea della Cultura 2019, e viene riscoperta dal turismo nazionale e internazionale. Alla metà del secolo scorso, la città – da una terra dimenticata dalla storia – aveva lanciato un progetto riformista urbano, che investiva al contempo un vasto territorio, per sperimentare un modello di sviluppo che avrebbe orientato il progetto di una modernità meridionale. Una città di soli trentamila abitanti aveva attirato da tutto il mondo intellettuali, artisti e letterati, che avevano trovato in questa realtà, apparentemente ferma nel tempo, indizi di un’anticipazione di futuro.

La descrizione di Matera e della Basilicata fatta da Carlo Levi nel 1945 in Cristo si è fermato ad Eboli mobiliterà idee e progetti. A partire dalla vicenda dei Sassi, dove una popolazione viveva ancora, a ridosso della modernità, in case grotta, e dalla molteplicità di prospettive che il loro significato andava via via producendo: «arcaica pace» del mondo contadino, immagine di inaudita miseria, luogo intriso di valori simbolici, spazio denso di testimonianze storico-artistiche, centro antropologico e culturale. Immagini che si sono tra loro contaminate e che hanno connotato i diversi significati di «città laboratorio» che Matera ha assunto: laboratorio del moderno (l’esperienza del Piano Piccinato e quella dei concorsi di architettura per i nuovi quartieri), laboratorio antropologico (un riferimento che vale per Matera, ma anche per l’intera Basilicata), laboratorio socio-territoriale (il riformismo urbanistico e socio-economico di Adriano Olivetti). La vicenda materana è stata anche laboratorio di singoli intellettuali, che in questa città hanno trovato il terreno ideale per esperienze e pratiche artistiche, sollecitati dalle particolari condizioni di «marginalità»: prima fra tutte, la Gerusalemme fuori dal tempo storico del Pasolini del Vangelo secondo Matteo dove gli abitanti dei Sassi diventano gli unici eredi del suo messaggio universale. Matera come laboratorio della marginalità, dove l’essere al margine non era percepito sempre negativamente.

Nell’arco di quarant’anni i Sassi, nell’ambito di una revisione e di un aggiornamento della nozione di patrimonio, da vergogna nazionale sono diventati un caso esemplare di recupero dei centri storici: grazie a una legge dello Stato e all’arrivo di ingenti finanziamenti pubblici agli inizi degli anni Settanta, l’attivazione di un concorso internazionale porterà i Sassi nel 1993 al riconoscimento di sito Unesco, a compimento di un lungo percorso di rivalutazione del loro significato storico, artistico e antropologico.

La storia recente di Matera non è diversa da quelle di molte città italiane, con la fine del «laboratorio urbano Matera». Sono gli stessi anni delle speranze di un futuro imprenditoriale materano, dove «il grande è bello e mangia il piccolo»: si chiudono i pastifici Padula, Quinto, Mulino Alvino, inglobati dalla Barilla; lungo l’asse di ricongiungimento Matera-Altamura, la variante del Piano Piccinato Prg/73, inseguendo un sogno imprenditoriale per una capitale contadina, abbandona la direzione verso Potenza e punta verso Bari e la Puglia, collocando una strada-mercato con ampie aree di insediamento industriale e commerciale all’altezza di Borgo Venusio. Prendono avvio i cantieri di quella che rimane una delle principali attività economiche della città, l’edilizia. Matera consolida in questo modo il suo carattere di città duale, fatta di città accostate, che non si guardano.

Rispetto alla configurazione socio-economica del 2001, la composizione dell’occupazione qui si sposta decisamente in favore delle attività manifatturiere: alimentari, mobili e metalmeccanica sono ancora le principali attività produttive e, sebbene negli anni più recenti sia proseguita la contrazione di unità locali e di addetti, alcune imprese stanno introducendo innovazioni di prodotto e ricercando nuovi mercati; vengono considerate depositarie di un patrimonio di cultura industriale necessario a fornire un radicamento alle microimprese che operano nel composito mondo delle industrie culturali e creative. Queste ultime, insieme all’offerta di servizi turistici, già nel 2011 pesano per l’11% sul totale degli addetti, e la loro integrazione in una filiera turistico-culturale-creativa si candida a diventare una, se non la principale, specializzazione produttiva della città di Matera. La città è anche sede accademica distaccata dell’Università della Basilicata, nata come risposta proattiva della cultura e della scienza al grande terremoto che aveva investito la regione (era il novembre 1980), che offre un percorso formativo fortemente ancorato ai valori dell’architettura, dell’ambiente e dei patrimoni. Non si può fare a meno di notare le luci e le ombre che connotano la scena locale e regionale: la bassa densità demografica e la riduzione delle fasce giovanili, la sotto-dotazione di infrastrutture; ma anche il basso tasso di criminalità della città e del territorio, la sua frugalità e resilienza, la modesta dimensione della povertà.

Matera è oggi laboratorio urbano. L’assegnazione del titolo di Capitale europea della Cultura per il 2019 avviene non tanto per quello che la città mostra di essere, quanto per le politiche culturali che vuole intraprendere nel percorso dei quattro anni successivi al riconoscimento. Non si può tacere il rischio che invece le politiche sulla città non riescano ad andare oltre il breve termine, cogliendo la proclamazione solo come punto di arrivo del processo, consumando la scena urbana senza intraprendere un percorso di cambiamento e una effettiva sperimentazione nel governo della città, con politiche strutturali a medio e lungo termine.

Dubbio legittimo per Matera, se pensiamo alla tendenza delle politiche della comunicazione all’evanescenza. Mentre con la sovra-esposizione i Sassi, diventati nuovi immaginari del
pittoresco o del vernacolare, sono
scelti come fondale di ogni iniziativa da intraprendere, luoghi surreali
per soggiorni di lusso, smarrendo il
racconto storico della città, la com-
plessità del fenomeno urbano e il
singolare rapporto di Matera con il territorio da cui prende forza. Spesso si dimentica che Matera, collocata in un territorio comunale tra i più grandi d’Italia con due parchi e ben quattro aree protette (circa 8.300 ettari di superficie), traguarda lo scenario mozzafiato del Parco della Murgia Materana, e, oltre, un territorio regionale che è tutto un grande parco. Matera come città territorio, porta di una «internità» nascosta, affaccio sullo Ionio da cui si contemplano Pollino e Appennino, e polo di un sistema policentrico murgiano, insieme ad Altamura e Gravina. Matera città-parco perché cerniera tra parchi regionali e interregionali, con il 30% del territorio ad alta valenza naturalistica, al secondo posto in Italia come estensione.

La presenza di ingenti capitali raccolti sul progetto «Matera 2019», in controtendenza con le difficoltà economiche in cui versano le amministrazioni urbane, sta dando all’agenda urbana le gambe su cui camminare, aprendo cantieri di opere tenute per molto tempo nel cassetto, sul fronte del potenziamento delle infrastrutture culturali (nuovi contenitori culturali e riammodernamento di quelli esistenti) e della riqualificazione urbana (nuove centralità urbane e rigenerazione di periferie).

Matera, unico capoluogo di provincia non collegato alla rete ferroviaria nazionale, punta al miglioramento della connessione su gomma con Bari-Altamura grazie al raddoppio della SS 96 e su ferro con il potenziamento del servizio da e verso Bari, Potenza e altri centri limitrofi lucani delle Ferrovie Appulo-Lucane, riducendo in particolare i tempi di percorrenza fra Bari e Matera (dagli attuali 95 a 59 minuti previsti) grazie al miglioramento dei limiti di capacità sulla tratta. La portata di questa connessione avrà conseguenze inimmaginabili nelle relazioni tra area metropolitana barese e Matera e il suo territorio prossimo e profondo.

Per il territorio materano l’integrazione delle relazioni con il bacino metropolitano barese è cruciale soprattutto per migliorare l’accessibilità; al tempo stesso Bari potrebbe intercettare, attraverso la forte attrattività di Matera, significati e valori delle sue aree interne, reinterpretare e valorizzare la complessità del suo «retro» murgiano.

L’ecosistema Matera è vivo ma ancora immaturo. Per farlo maturare è necessario un cambiamento della forma mentis della cultura dell’impresa e dell’amministrazione, anche per far sì che l’arrivo di ingenti finanziamenti pubblici determini un cambiamento di metodi e mentalità, attraverso la comprensione dei vantaggi del lavoro di squadra e della complementarità. Il dibattito in corso è molto ricco; alto il profilo professionale e culturale di chi è sceso in campo.

È questa forse anche una buona occasione per aggiornare i modi di governare le città coinvolte da eventi importanti. L’Expo e il dopo-Expo di Milano non sono l’unica formula possibile di successo per una città. Altri modelli si possono elaborare e proporre al sistema Paese, perché il fine ultimo dovrebbe essere verificare la possibilità che la cultura sia fattore costruttivo di nuove competenze e mentalità; e se tutto questo, poi, sia in grado di contribuire in maniera significativa a migliorare la vita delle persone.

 

Published 12 February 2018
Original in Italian
First published by il Mulino 6/2017 (Italian version) / Eurozine (English version)

Contributed by il Mulino © il Mulino/ Eurozine / Mininni

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