Sotto osservazione i regimi dell'est europeo

I recenti sviluppi nell’Europa Orientale e nell’ex Unione Sovietica suscitano forti preoccupazioni sul sistema maggioritario e i diritti individuali. In questa regione si sta adottando a tappeto il sistema maggioritario mentre i diritti individuali hanno un’esistenza precaria. A voler esagerare, c’è stato un passaggio dal dispotismo del Partito a quello della maggioranza, entrambi avversi alla protezione dei diritti della minoranza. Anche se c’è stato un certo progresso – dato che dopo tutto il Partito non si curava neanche dei diritti della maggioranza – i risultati ottenuti sono stati decisamente limitati. Nella maggior parte dei paesi il futuro è ancora la democrazia costituzionale.

I recenti sviluppi nell’Europa Orientale e nell’ex Unione Sovietica suscitano forti preoccupazioni sul sistema maggioritario e i diritti individuali. In questa regione si sta adottando a tappeto il sistema maggioritario mentre i diritti individuali hanno un’esistenza precaria. A voler esagerare, c’è stato un passaggio dal dispotismo del Partito a quello della maggioranza, entrambi avversi alla protezione dei diritti della minoranza. Anche se c’è stato un certo progresso – dato che dopo tutto il Partito non si curava neanche dei diritti della maggioranza – i risultati ottenuti sono stati decisamente limitati. Nella maggior parte dei paesi il futuro è ancora la democrazia costituzionale.

Questa storia ha diversi precedenti. In Inghilterra dopo il 1648, negli Stati Uniti dopo il 1776, e in Francia dopo il 1789, l’abolizione del dispotismo portò all’insorgere di un sistema maggioritario libero da legami, seguito a distanza di pochi decenni da un sistema sottoposto a vincoli costituzionali. Non intendo discutere il caso dell’Inghilterra, dove la terza fase più che di una democrazia ha assunto la forma di una monarchia costituzionale, mi soffermerò invece sulle esperienze francese e americana. In particolare, ho trovato di particolare utilità i dibattiti alla Federal Convention di Filadelfia nel 1787 e all’Assemblée Constituante di Parigi nel 1789-91 per illustrare i pericoli del sistema maggioritario. Possiamo servirci di questi precedenti storici per delineare la gamma dei problemi maggioritari e delle soluzioni antimaggioritarie, e quindi considerare le implicazioni per l’Europa Orientale.

Argomenti in favore del sistema maggioritario

Gli studiosi di scienze sociali hanno dimostrato che la votazione a maggioranza è il solo sistema di aggregamento di preferenze che soddisfi i requisiti dell’anonimato (il risultato non dovrebbe dipendere dall’indicazione dei detentori della preferenza), della neutralità (il risultato non dovrebbe dipendere dall’indicazione delle alternative), della sensibilità positiva (un requisito collegato a quello dell’optimum di Pareto) e del dominio universale (il meccanismo di aggregazione dovrebbe tornare a vantaggio di tutte le possibili combinazioni delle preferenze individuali). Più in profondità, tuttavia, questi requisiti richiedono essi stessi una giustificazione.

Com’è possibile, per esempio, presentare argomentazioni a favore del requisito dell’anonimato? Non sono mai mancate categorie che rivendicavano uno status privilegiato. I ricchi, i proprietari fondiari, gli anziani, le persone istruite, le persone intelligenti, la nobiltà, i membri della razza ariana o di altri gruppi etnici, i seguaci di qualche data religione e la metà maschile della popolazione: tutte queste categorie hanno rivendicato una propria superiorità intrinseca rispetto alle loro rispettive controparti: nessuno di loro accetterà il requisito dell’anonimato.

In presenza di molti gruppi diversi in competizione sulla base delle loro qualità intrinseche, l’unica soluzione pacifica determinata che può emergere è la quantità. Una volta Marx ha osservato che l’unico modo per risolvere il conflitto tra due pretendenti regali è quello di avere una Repubblica. Nella lotta per la tribù che nelle ex colonie deve imporre come lingua ufficiale la propria, la sola soluzione accettabile per tutti spesso è stata quella di scegliere la lingua della potenza coloniale di prima.

Il sistema maggioritario è un po’ come queste soluzioni formali di ripiego. Anche se le persone non sono tutte uguali, devono comunque essere trattate come se lo fossero. Ora, quello che ho appena detto non è proprio un argomento in favore dell’anonimato o, per usare una parola più familiare, dell’uguaglianza, ma nel migliore dei casi contribuisce a spiegare perché l’idea di uguaglianza fosse irresistibile o, più esattamente, perché a partire da un certo momento quella tra repressione e uguaglianza fosse la sola scelta praticabile. Tra i vari argomenti positivi in favore del sistema maggioritario intendo limitarmi al suo stretto legame con l’utilitarismo: se le persone che preferiscono “x” sono più di quelle che preferiscono “y”, allora scegliendo “x” si avranno più probabilità di ottenere un benessere generale di quante non se ne abbiano scegliendo “y”.

I pericoli del maggioritario

Il legame tra il sistema maggioritario e l’utilitarismo è confermato dal fatto che hanno lo stesso nemico: il difensore dei diritti individuali. Esiste una vasta letteratura sul rapporto esistente tra utilità e diritti. Il rapporto tra sistema di maggioranza e diritti individuali – oggetto di questo articolo – è stato anche oggetto di una vasta letteratura giuridica, anche se questi due corpi di scrittura raramente si trovano a essere in rapporto tra loro. In due tesi strettamente parallele, i difensori dei diritti individuali hanno sostenuto di voler battere, rispettivamente, la massimizzazione dell’utilità e il sistema maggioritario.

Al principio del meglio per la maggioranza e del predominio dei molti sui pochi, oppongono il rispetto e la preoccupazione per l’individuo. Il legame tra le due dottrine è compromesso, tuttavia, se una ragione per cui il sistema maggioritario deve avere un limite nei diritti è che nell’ardore della passione la maggioranza può non avere la percezione di quello che è veramente il suo interesse. In tal caso, i diritti servono a favorire un benessere generale, e il sistema maggioritario diventa un nemico dell’utilitarismo invece di esserne l’alleato naturale. Vedremo, comunque, che ci sono anche altri motivi indipendenti da questo per temere il sistema maggioritario.

Ai fini di questo intervento, non intendo considerare quei diritti, impropriamente chiamati “positivi”, che conferiscono all’individuo il diritto che parte del prodotto sociale venga impiegato in attività che accrescono il suo benessere materiale, come il diritto al lavoro, all’assistenza o a un ambiente pulito. Intendo invece limitarmi ai diritti tradizionali, quali le libertà civili, le libertà politiche, i diritti di proprietà e l’autonomia contrattuale. In particolare prendo in considerazione i casi in cui la maggioranza viola i diritti politici, il principio di legalità e i diritti etnici o religiosi.

Innanzitutto, un governo di maggioranza avrà sempre la tentazione di usare i diritti politici per aumentare le proprie opportunità di essere rieletto. Se fosse libero di modificare i tempi delle elezioni, per esempio, potrebbe scegliere un momento in cui la congiuntura economica è favorevole. E in paesi dove la radio e la televisione sono di proprietà dello Stato, il governo potrebbe concedersi dei tempi sproporzionati. In questi e in altri casi, la minaccia per i diritti viene dalla maggioranza parlamentare, non dalla maggioranza della popolazione. Di fatto, il pericolo è proprio che la maggioranza al Parlamento possa disporre dei mezzi per impedire alla maggioranza della popolazione di far insediare un nuovo governo.

In secondo luogo, una maggioranza può mettere da parte il rispetto della legge sotto la spinta di un interesse durevole o di una passione momentanea. Era questa, per esempio, la principale preoccupazione di Madison, che scriveva: “In tutti i casi in cui una maggioranza è unita da un comune interesse o da una comune passione, i diritti della minoranza sono in pericolo”. Questa distinzione tra interesse e passione è fondamentale. Se i poveri o i relativamente nullatenenti formano una maggioranza, il loro interesse potrebbe indurli ad approvare leggi contrarie ai diritti di proprietà creando cartamoneta, imponendo l’annullamento dei debiti e via di seguito. Un pericolo piuttosto diverso insorge se la maggioranza è animata da una passione improvvisa che la rende sorda alle esigenze del rispetto della legge. Il rischio che vengano approvate leggi dettate dalla passione è particolarmente forte in tempo di guerra e in altre situazioni di emergenza; un caso famoso è stato quello dell’internamento dei giapponesi americani durante la seconda guerra mondiale. Infine, una maggioranza può mettere da parte i diritti di una minoranza etnica o religiosa sotto la spinta di quella che si potrebbe definire una passione duratura. Nei primi secoli, il fanatismo religioso è stato il movente principale di questa forma di egemonia della maggioranza. Oggi, l’odio etnico, a volte unito alle differenze religiose, si sta dimostrando una fonte di oppressione spaventosamente potente.

Interessi e passioni

In queste mie affermazioni sono impliciti due distinguo. Da un lato, dobbiamo determinare se la maggioranza che conta è quella parlamentare o quella popolare. Dall’altro, dobbiamo individuare le ragioni che muovono i membri della maggioranza a violare i diritti della minoranza. Qui ho esaminato tre casi: gli interessi permanenti, le passioni permanenti e le passioni momentanee. Anche se tutte e sei le possibili combinazioni di queste parti e di queste ragioni potrebbero essere importanti, mi limiterò a considerarne cinque, che gli artefici delle Costituzioni nel xviii secolo hanno considerato tutte una minaccia per i diritti individuali.

Innanzitutto, c’è il caso di una maggioranza parlamentare che si adopera per preservarsi come maggioranza, grazie ai vari stratagemmi procedurali nominati prima, o per portare avanti gli altri suoi interessi. Madison, per esempio, ha osservato come “spesso fosse capitato che uomini, che avevano acquistato a credito delle proprietà terriere, erano entrati nel legislativo con l’obiettivo di sollecitare un’ingiusta protezione contro i loro creditori”. In secondo luogo, c’è il caso di una maggioranza parlamentare influenzata dalla passione (duratura) dell’amor proprio. Il timore che dei rappresentanti politici potessero agire per simili ragioni, praticamente assente alla Federal Convention, è stato comunque spesso ricordato all’Assemblée Constituante. Bergasse sosteneva, per esempio, che un veto sospensivo del re non avrebbe avuto l’effetto voluto di portare l’assemblea a riconsiderare il proprio voto, dato che la sua vanità le avrebbe impedito di retrocedere.

Terzo, c’è il caso di una maggioranza popolare che si adopera (attraverso i suoi rappresentanti) per promuovere il proprio interesse economico. Un caso particolare altrettanto importante è quello in cui questo interesse è definito in termini di valore presente del profitto futuro scontato da alcuni fattori positivi. Se il tasso di sconto è alto, i membri della maggioranza potrebbero considerare che è loro interesse adottare misure di confisca nei confronti dei possidenti, pur sapendo che alla lunga loro o i loro discendenti avrebbero fatto meglio a rispettare la proprietà.

Quarto, c’è il caso di una maggioranza popolare che si muove (attraverso i suoi rappresentanti) per un impulso improvviso, una passione momentanea. I fondatori a Filadelfia e i costituenti a Parigi hanno fatto continui riferimenti a questo pericolo. A Filadelfia, abbiamo gli accenni di Randolph alla “turbolenza e le follie” e “la furia della democrazia”, quelli di Hamilton alle “passioni popolari [che] si diffondono come un incendio incontrollato, e diventano inarrestabili” e quelli di Madison all'”instabilità e la passione” e alla “turbolenza e la violenza della passione sfrenata”. A Parigi, Lally-Tollendal descriveva così i membri dell’Assemblea: “Travolti dall’eloquenza, sedotti dai sofismi, traviati dagli intrighi, infiammati dalle passioni per cui sono fatti, trasportati da movimenti improvvisi comunicati loro, frenati dalle paure ispirate loro”.

Quinto, c’è il caso di una maggioranza popolare che agisce (attraverso i suoi rappresentanti) in base a una passione permanente e costante. Da un’attenta lettura delle citazioni del paragrafo precedente emerge una predominanza di termini quali “improvviso”, “instabilità”, “sfrenata” e simili. Per contro, nelle due Assemblee del xviii secolo sono pochi i riferimenti a passioni e pregiudizi più duraturi, che potrebbero plasmare il volere della maggioranza. Eppure alla fine del xx secolo potrebbe rivelarsi questo il grande pericolo del sistema maggioritario: un altro esempio evidente, accanto ai problemi dell’Europa Orientale di cui tratterò in seguito è costituito dal fantasma del maggioritarismo islamico in Algeria.

Le costituzioni dell’Europa dell’est

Con questi pericoli in mente, possiamo esaminare il ruolo in Europa Orientale di quattro disposizioni antimaggioritarie per la tutela dei diritti: il consolidamento costituzionale dei diritti, il judicial review, la separazione dei poteri e i freni e contrappesi costituzionali.
Ci sono due domande importanti da porsi: quali diritti sono inclusi nella Costituzione, e fino a che punto la Costituzione li tutela? Quanto alla prima domanda, non posso fornire una risposta esauriente per limiti di spazio.

Indicherò invece alcune anomalie o alcuni tratti salienti, limitandomi ai paesi che hanno completato il loro processo di evoluzione costituzionale. Anche se tutti i paesi hanno dei dispositivi costituzionali a garanzia dei diritti delle minoranze etniche, la forza con cui questi diritti vengono tutelati è molto diversa. La Costituzione bulgara è quella che offre di gran lunga la tutela più debole. Tanto per fare un esempio, bandisce i partiti politici costituiti in base a “orientamenti etnici, razziali o religiosi” (art.11.4). O ancora, la Costituzione bulgara è unica poiché alle minoranze etniche concede solo il diritto di studiare la propria lingua (art. 36.2), ma non quello di usarla per studiare tutte le altre materie. La Costituzione rumena si distingue per un altro aspetto, un articolo (art. 6.2) che prevede che la tutela delle minoranze nazionali si debba “conformare ai principi di uguaglianza e non-discriminazione in rapporto agli altri cittadini rumeni”, presumibilmente a esclusione di un’iniziativa attiva finalizzata, per esempio, all’ampliamento delle opportunità educative per gli zingari.

Nella Costituzione della Croazia (art. 18 della legge costituzionale sui diritti umani e le libertà), della Romania (art. 59.2) e della Slovenia (art. 64), i diritti politici delle minoranze sono protetti da norme che ne garantiscono la rappresentazione in Parlamento, anche se ci si potrebbe chiedere se le disposizioni rumene non contraddicano l’art. 6.2 della Costituzione, citato in precedenza. In Slovenia, l’art. 80, che richiede una maggioranza dei due terzi di tutti i deputati eletti per modificare la legge elettorale, può essere considerato anche una tutela dei diritti politici dal momento che rende più difficile un intervento della maggioranza sul sistema a proprio vantaggio. Anche l’art. 71.3 della Costituzione ungherese richiede la maggioranza dei due terzi dei deputati presenti per promulgare una legge elettorale. In nessun paese la legge elettorale è considerata costituzionale in sé.

Il judicial review

Tutti i paesi nella regione praticano ex ante o ex post un judicial review per mezzo di una Corte costituzionale. Questa istituzione era prevista anche in molte Costituzioni comuniste, con la particolarità, comunque, che le sue decisioni potevano essere annullate dal Parlamento. In Polonia, questo meccanismo di sopradecisione sopravvive tuttora, per quanto la nuova bozza di legge di emendamento della Costituzione propone in qualche misura di restringerlo. Sorprende di più trovarlo inserito nella Costituzione della Romania di recente promulgazione (art. 145.1). Questa è la tecnica dell'”aggiramento” con cui l’Assemblea può approvare di fatto degli emendamenti della Costituzione senza indire un referendum. Si possono ben immaginare le circostanze in cui questa procedura verrebbe a compromettere la funzione di garanzia del judicial review.
Tuttavia, la si potrebbe anche considerare parte di un sistema di freni e contrappesi volto a prevenire uno strapotere del giudiziario. La Corte ungherese è stata di gran lunga la più attiva; negli ultimi anni è emersa come forza politica di prima grandezza e in effetti è stata raffigurata come la Corte costituzionale più potente del mondo. Esistono due serie di decisioni rivelatesi di particolare importanza, che riguardano le reazioni legali ad atti commessi sotto il regime comunista. In tre casi alla Corte si è chiesto di valutare la costituzionalità delle leggi relative alla restituzione della terra nazionalizzata a coloro che ne erano i proprietari in epoca prima del comunismo. La Corte ha deciso che l’unica ragione per discriminare fra ex proprietari terrieri e proprietari di altre proprietà confiscate, o meglio, tra ex proprietari e proprietari “non ex” sarebbe una ragione di lungimiranza. Se tale discriminazione favoriva la transizione verso l’economia di mercato, o comunque avesse dei riflessi sociali utili, allora era ammissibile, altrimenti non lo era. In particolare, lo schema di quelli che erano stati gli appezzamenti posseduti non aveva rilevanza.

In una recente decisione la Corte ha dichiarato incostituzionale una legge che estendeva la legge sulle limitazioni per i reati commessi durante il vecchio regime che, “per motivi politici”, non erano stati perseguiti. Nella prima serie di decisioni, la Corte ha lasciato che considerazioni di tipo utilitaristico avessero la precedenza su considerazioni nostalgiche di giustizia astratta, in base al fatto che queste ultime non creavano alcun diritto soggettivo alla restituzione. Nelle decisioni successive, la premessa fondamentale della Corte era il principio della sicurezza legale, violato sia dall’elemento di retroattività intrinseco nella legge sia dalla vaghezza della frase “per motivi politici”.

La Corte costituzionale bulgara si è rivelata un (debole) difensore dei diritti della minoranza dalle disposizioni illiberali della Costituzione. In base agli articoli 11.4 e 44.2 della Costituzione, i deputati dell’ex Partito comunista hanno chiesto che fosse dichiarato incostituzionale il Movimento per i diritti e le libertà, praticamente il partito in favore delle minoranze turche e islamiche. Benché su dodici giudici ce ne fossero favorevoli sei alla richiesta e solo cinque contrari (uno era malato), la petizione è stata respinta in base all’articolo 151.1 della Costituzione che per una decisione vincolante richiede “una maggioranza superiore alla metà di tutti i giudici”: il ragionamento dei cinque giudici era troppo tenue e fragile per costituire una solida garanzia.

La separazione dei poteri

Malgrado i suoi ampi poteri (o forse proprio a causa di essi) la Corte costituzionale ungherese ha tentato attivamente di limitare la propria giurisdizione. Per quanto la legge la autorizzi a emettere pareri, in varie occasioni la Corte ha rifiutato di farlo in base al fatto che questo avrebbe violato il principio della separazione dei poteri. Il compito della Corte, è stato affermato, deve essere quello puramente negativo di annullare le leggi incostituzionali, ed essa non deve mai rimanere coinvolta nella creazione di leggi positive. Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, se quest’ultimo non è un pericolo pressoché inevitabile nella revisione di sistemi come quelli dell’Ungheria e della Germania.

Molto più serio del problema della violazione dei confini da parte del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato è quello opposto, segnatamente la dipendenza del giudiziario dall’esecutivo. In tutti i modi, le abitudini mentali createsi sotto il comunismo fanno ancora sì che i giudici, specialmente nei tribunali, guardino al governo in cerca di consiglio e guida. Nella maggior parte dei casi sono incapaci di applicare la legge in modo indipendente a causa del livello estremamente basso della formazione e del tirocinio giuridico sotto il comunismo.

Per contro, è dura a morire la vecchia abitudine del governo di pilotare i risultati. L’ex ministro della Giustizia ungherese Kálmán Kulcsár mi ha descritto le sue difficoltà a far desistere i suoi funzionari dall’interferire con l’assegnazione dei giudici ai vari casi.

Possiamo distinguere tra una serie di interpretazioni dell’idea di freni e contrappesi costituzionali. L’idea tipica è che ci sono tre istituzioni principali – l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario – che si devono organizzare in modo da annullare in ciascuna di esse qualsiasi tendenza ad appropriarsi illecitamente del potere. Nelle due Assemblee del xviii secolo, tuttavia, le tre parti coinvolte dal sistema di freni e contrappesi costituzionali sono state piuttosto le due Camere del legislativo e l’esecutivo. L’Europa orientale oggi si allontana dallo schema teorico in modo diverso – non nella divisione del legislativo in due Camere quanto nella suddivisione dell’esecutivo tra presidente e governo. Se il presidente ha poteri non banali, derivati dalla lettera della Costituzione o dalla legittimazione conferita dalle elezioni dirette, e se il governo ha una certa indipendenza dalla maggioranza parlamentare che lo ha portato al potere, otteniamo una “nuova trinità” dei freni e contrappesi: Parlamento, governo e presidente.

Freni e contrappesi

Questa indipendenza si può ottenere con il sistema tedesco di un voto di sfiducia costruttivo, che comporta da un lato che il Parlamento designi un nuovo primo ministro e dall’altro censuri il governo in carica, o dal sistema francese che consente al governo di presentare dei disegni di legge che diventano automaticamente legge a meno che il Parlamento non presenti un voto di sfiducia entro un preciso limite di tempo. In questi sistemi, il governo ha col Parlamento lo stesso rapporto che il parlamento ha con l’elettorato: è un fiduciario, non un semplice delegato. Il sistema con i minori freni e contrappesi è quello bulgaro. C’è un’Assemblea unicamerale, un veto presidenziale molto debole (può essere superato dalla maggioranza semplice di tutti i deputati eletti) e nessuna disposizione per garantire l’indipendenza del governo dalla maggioranza parlamentare. Istituzionalmente, la Corte costituzionale è l’unico contrappeso al potere dell’Assemblea maggioritaria. Di fatto, un presidente popolare ha anche la possibilità di agire come forza indipendente.

La Romania non ne esce molto meglio. Qui la Costituzione ha adottato una soluzione che prima veniva usata solo in Italia, con due Camere legislative essenzialmente identiche. È difficile comprendere come questo sistema possa portare a un sistema di freni e contrappesi. L’adozione nell’articolo 113 del sistema francese della “legislazione governativa” garantisce una certa indipendenza del governo dal Parlamento. Anche se la facoltà del presidente di indire un referendum (art. 90) potrebbe in apparenza garantirgli una certa indipendenza dagli altri poteri dello Stato, la Costituzione non dichiara vincolante il risultato del referendum. Come si è visto prima, il ruolo della Corte costituzionale per frenare il Parlamento è limitato dal diritto dell’Assemblea di invalidare le decisioni della Corte.

L’Ungheria ha un’Assemblea unicamerale e una presidenza sostanzialmente formale. Anche se la norma di un voto di sfiducia costruttivo (art. 39a.1) garantisce al governo una certa indipendenza dal Parlamento, la più forte limitazione del legislativo è data dalla Corte costituzionale.

La Slovenia presenta un sistema in qualche modo simile: una seconda Camera essenzialmente consultiva, una presidenza con pochi poteri formali, la norma di un voto di sfiducia costruttivo e una Corte costituzionale potenzialmente forte. Lo stesso praticamente vale per la Croazia, ad eccezione del fatto che non c’è un voto di sfiducia costruttivo, né altre disposizioni a garanzia dell’indipendenza del governo.

La Polonia è il paese col più ampio sistema di freni e contrappesi, con una Camera superiore e un presidente che hanno entrambi il potere di costringere la Camera inferiore a votare le leggi con una maggioranza dei due terzi. Il Parlamento, tuttavia, non è vincolato dalle decisioni della Corte costituzionale. Dovremmo ricordare inoltre che queste misure sono in parte un’eredità della Costituzione comunista, e in parte il frutto di compromessi di transizione.

Dispotismo, non basta la democrazia

In linea di massima, questa panoramica conferma l’idea enunciata all’inizio: il dispotismo, una volta rovesciato, dà origine a nuove forme di dispotismo. Tra i paesi che ho analizzato, la Romania e la Bulgaria avevano le forme più dispotiche e totalitarie di governo comunista. Questi sono anche i paesi in apparenza meno propensi ad accogliere disposizioni “antimaggioritarie”. All’estremo opposto il paese meno dispotico – l’Ungheria – si sta rivelando anche il più fortemente attaccato ai principi del costituzionalismo.

In precedenza, ho fatto una distinzione tra i pericoli del sistema maggioritario derivanti da tre fonti: interessi permanenti, passioni permanenti e passioni momentanee. Ho osservato anche come questi pericoli possano sorgere nella maggioranza, parlamentare o popolare che sia. In Europa Orientale, i due pericoli più gravi possono scaturire dall’interesse durevole della maggioranza parlamentare, che cerca di tutelare il proprio potere, e dalle passioni permanenti della popolazione, in particolare per quanto riguarda le divisioni etniche e le richieste conservatrici di riparazione e retribuzione. La società civile non è ancora sufficientemente organizzata per dar vita a gruppi d’interesse ben definiti da poter minacciare i diritti di proprietari o creditori minoritari. Le passioni momentanee sono, quasi per definizione, imprevedibili.

Le Corti costituzionali emergenti offrono la promessa di riuscire a frenare le passioni permanenti e momentanee. Per contro, il sistema di freni e contrappesi non è, tutto sommato, ben concepito per neutralizzare i legislatori guidati dai propri interessi. Come si è visto, questa considerazione non vale solo per la legislazione ordinaria ma anche per lo stesso processo di elaborazione della Costituzione. In effetti, la pecca più grande degli attuali processi politici nell’Europa Orientale è la costante frammentazione della e della . Quasi ovunque le Costituzioni sono emerse come conseguenza della contrattazione per fini strategici o di parte e gli articoli che le compongono sono considerati strumenti di politica e non un sistema di riferimento per la politica relativamente stabile. In un periodo di rapida trasformazione economica e sociale, questo non è certamente un male, ma la flessibilità ha il suo prezzo e un bel giorno arriverà il conto da pagare.

Published 29 March 2004
Original in English
Translated by Dora Bertucci

Contributed by Reset © Reset Eurozine

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