Così l'impero genera amici e nemici

Göran Therborn sul ritorno della guerra fredda che ora si ritorce contro gli Stati Uniti, sul ruolo della religione per mobilitare le persone e l’enigma dell fondamentalismo.

Giancarlo Bosetti: Intervenendo in una discussione con Benjamin Barber e altri interlocutori americani ed europei delle scienze sociali, lei ha insistito sul fatto che l’attacco terroristico dell’11 settembre non è stato solo un attacco a valori simbolici, a un popolo, a un paese, ma anche e soprattutto attacco a un potere. Che cosa vuole dire con questa sottolineatura: il “potere” americano?

Göran Therborn: Significa che se affermiamo che l’attentato era rivolto alla potenza americana più che ai valori dell’Illuminismo, o ai valori della civiltà moderna, all’Occidente o cose del genere, dobbiamo indagare sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Facciamo il caso che gli Stati Uniti rappresentassero questi stessi valori, esattamente la stessa cultura, la stessa economia e tutto il resto, ma che non avessero alcuna presenza nei punti caldi dei paesi islamici. Facciamo il caso che non ci fossero truppe americane in Arabia Saudita, non ci fossero stati bombardamenti in Iraq, non ci fosse stato il sostegno americano a Israele. Ebbene, questo attacco ci sarebbe stato ugualmente? Ci sarebbe stato se gli Usa non avessero avuto questo ruolo imperiale nel mondo?

GB: La risposta mi sembra già contenuta nella sua domanda, no?

GT: Io sospetto che non sarebbe accaduto, e penso che il ragionamento che sto facendo ci aiuti a capire quanto è successo. È compito di politici e intellettuali riflettere sul significato di questi eventi, e mi sembra che uno degli aspetti chiave consista nel riflettere sulla posizione degli Stati Uniti, e anche dell’Europa nel mondo.

GB: Un potere imperiale: così lei definisce quello degli Stati Uniti nel mondo?

GT: In questo contesto l’impero non è qui da me definito come una pretesa, come un’asserzione da parte di un determinato paese, ma consiste nel potere legittimo e nel diritto legittimo di intervenire presso un’altra popolazione che non fa parte dell’impero. Mi riferisco alla presenza americana in Medio Oriente come anche in altre parti del mondo. Uso il concetto in modo analogo a Benjamin Barber. Lui pone un problema di deficit di democrazia sul piano internazionale in rapporto al potere americano. Mi pare che alla sua argomentazione manchi semplicemente la parola “impero”.

GB : Impero e democrazia internazionale sono due concetti difficili da mettere d’accordo.

GT : Dal punto di vista della teoria politica esiste una contraddizione logica tra impero e democrazia: impero infatti significa controllare altre popolazioni, che non sono membri della nostra comunità o collettività. Certo nella storia reale vi sono stati molti imperi democratici in tutto il mondo: per gran parte del XX secolo le potenze europee, le potenze coloniali erano democrazie. In questo senso del termine impero, gli Stati Uniti sono una potenza imperiale. Il fatto è che questa contraddizione logica, esistente nella realtà concreta, tra democrazia e impero, significa che l’impero alimenta sempre un risentimento, genera opposizione e conflitto oltre che ammirazione, significa che la questione dell’opposizione violenta contro un impero non è la stessa cosa dell’uso della violenza entro una società democraticamente costituita.

GB : Cambia molto se il terrorismo è interno o esterno?

GT : L’attentatore di Oklahoma, che faceva parte della comunità americana, e godeva dei pieni diritti della cittadinanza, era una cosa. Cosa radicalmente diversa sono persone di altre comunità che dichiarano illegittimo il potere degli Stati Uniti. Si tratta di un tipo di opposizione diverso. Naturalmente questo non significa che l’attacco ai civili possa essere giustificato in nessuna circostanza. Ma la logica politica è radicalmente diversa.

GB : Gli eventi in corso renderanno ancora più arduo il tentativo di trovare una soluzione istituzionale ai problemi della organizzazione della democrazia. Le Nazioni Unite ne sono indebolite: nel ’91 la guerra del Golfo fu condotta sotto le bandiere dell’Onu, quella in Kosovo sotto le bandiere della Nato. E oggi?

GT : Non è detto che le Nazioni Unite non possano trovare in questa crisi ragioni per una ripresa della loro funzione. È molto interessante il fatto che gli Usa siano stati molto ansiosi di ottenere un mandato formale delle Nazioni Unite per qualunque azione decidano di intraprendere. Hanno avuto risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che sono fondamentalmente “assegni in bianco”, e forniscono una sorta di fragile copertura legale per qualunque cosa intendano fare gli Usa. È interessante da osservare, ma la cosa non trae in inganno nessuno. Tutti sanno che le Nazioni Unite non hanno alcuna influenza né esercitano alcun controllo su quanto viene deciso dal Presidente o dal capo dello staff presidenziale americano. Chi si oppone al potere dell’impero americano non accetterà nemmeno la legittimità delle Nazioni Unite. Anche una amministrazione unilateralista come quella di Bush deve riconoscere che l’opinione pubblica internazionale mantiene quanto meno una certa rilevanza.

GB: È difficile, in un caso come questo – una grande potenza contro terroristi estremamente pericolosi – trovare regole certe per legittimare e proporzionare la reazione. Difficile ma non impossibile, non crede?

GT : È così. Naturalmente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono pericolose, perché sembrano fornire agli Stati Uniti questa specie di “assegno in bianco”. E nessuno ancora sa fino a dove si arriverà. Sappiamo che una parte dell’amministrazione vuole che gli Usa invadano l’Iraq, e magari la Libia, la Siria e il Libano, mentre altre forze all’interno dell’amministrazione sembrano auspicare una risposta molto più limitata.

GB: Neutralizzare questo terrorismo è una impresa lunga e complicata.

GT: C’è un altro aspetto di questa guerra di polizia che bisognerebbe affrontare: da una parte queste reti vischiose e violente devono essere smantellate, dall’altra è probabile che nei prossimi mesi e anni assisteremo a un gran numero di misure repressive, nel corso delle quali persone innocenti dovranno soffrire. Non penso solo ai bombardamenti, ma anche alla abolizione delle precedenti restrizioni poste alla Cia, in particolare su due aspetti: il primo, che si dovrebbe ufficialmente consentire alla Cia di uccidere persone sospettate di essere nemici degli Stati Uniti; il secondo, che dovrebbe essere libera di reclutare tra i suoi agenti persone che notoriamente sono assassini e torturatori. Oggi esiste un divieto esplicito, che fu emanato quando la Cia reclutò in Guatemala un ufficiale dell’esercito guatemalteco che era stato coinvolto nell’omicidio di religiosi. All’epoca il Congresso approvò una risoluzione in base alla quale le persone note per aver violato i diritti umani non avrebbero potuto essere reclutate dall’agenzia.

GB : Il terrorismo comporta inevitabilmente che la democrazia paghi dei prezzi, per non soccombere.

Questo è quanto accadrà agli americani: più terrorismo di stato, sul modello israeliano, per ammazzare altre persone. Un’altra cosa che temo possiamo aspettarci, data la pressione esercitata dall’America sui suoi alleati in Pakistan e in Arabia Saudita, è che il carattere repressivo di quelle dittature si inasprirà, e vi saranno molte più torture, molti più arresti politici. Già oggi in questi paesi è proibito ogni tipo di dissenso, e questo stato di cose peggiorerà moltissimo nei mesi e negli anni a venire. Molti civili innocenti saranno torturati e uccisi per colpa di questa caccia all’uomo.
Uno dei paradossi su cui lei insiste è che questo conflitto è frutto della guerra fredda. Perchè?

GT : I guerrieri afgani sono di fatto antimodernisti, di sicuro, ma il paradosso è che sono stati addestrati, equipaggiati, armati e aiutati da americani e pakistani per combattere il regime modernista, comunista, in Afganistan. E tutto questo non è cominciato con l’invasione sovietica: i sovietici intervennero in seguito, quando fu chiaro che i comunisti stavano perdendo la guerra civile in Afganistan, ma non dovremmo dimenticare che l’avventura afgana era iniziata con una rivoluzione modernista, e che la mobilitazione contro tali valori fu resa di fatto possibile e vittoriosa grazie al massiccio aiuto americano e britannico. Fin da quando si concluse la guerra in Afganistan questi guerrieri erano ovunque, ovunque ci fosse un conflitto violento. Tant’è che i membri più spietati delle più violente organizzazioni terroristiche in Nigeria vengono chiamati “afgani” – perché sono nigeriani ma hanno combattuto in Afganistan. E una parte dei più spietati, dei più militanti e dei più provocatori tra i militanti ceceni, che hanno dato il via alla seconda guerra cecena con l’invasione del Dagestan – che poi ha scatenato la seconda invasione russa -, anche loro, erano stati in Afganistan. In questo senso è la guerra fredda che torna a rivolgersi contro gli Stati Uniti. Più in generale, nel Medio Oriente, gli alleati più stretti degli Stati Uniti sul fronte arabo sono i sauditi, che sono quanto di più antimoderno e antilluminista si possa immaginare. Il ritratto semplificato, se vogliamo l’autoritratto fatto dagli americani, secondo cui l’attentato al World Trade Centre è stato un attacco contro il valori illuminati, contro la civiltà moderna non regge fino in fondo. Responsabili sono certo forze antimoderniste, ma si tratta di un aspetto marginale, perchè nelle ultime fasi della guerra fredda gli americani erano alleati proprio di queste forze anti-modernizzazione.

GB : Tutti respingono la visione di Samuel Huntington sullo scontro tra civiltà, nel senso normativo, etico, del dovere e dell’auspicio, ma di fatto nell’ultimo decennio tutti i conflitti con cui abbiamo avuto a che fare si svolgono ai confini tra religioni: così nel Golfo, così in Cecenia, così in Kosovo. Qui si tratta di terrorismo, è vero, ma si tratta di terrorismo islamico. Non vogliamo uno scontro tra civiltà, ma dobbiamo convivere con esso?

GT : Dobbiamo riconoscere l’importanza della religione nel mobilitare le persone, questo è certo. Huntington sbaglia perché non sono due civiltà che si scontrano, ma vi sono aree di conflitto, e nelle aree di conflitto la religione è uno strumento potentissimo per mobilitare la gente e spingerla a dedicarsi in tutto e per tutto alla causa. La religione implica inoltre una demonizzazione dell’altro. Sono questi i punti centrali dell’argomentazione di Huntington. Uno dei gruppi religiosi fondamentalisti più militanti degli ultimi due decenni, il più sorprendente, è quello dei fondamentalisti ebraici. Ci sono stati moltissimi giovani americani, che fino ad allora avevano vissuto esistenze perfettamente normali, giovani pacifici, rispettosi della legge, che studiavano, lavoravano, facevano l’amore, si sposavano e così via, che tutt’a un tratto hanno sentito il senso della missione, hanno sentito che dovevano andare in Palestina e spazzar via gli arabi, dovevano costituire un insediamento ebraico. E lo hanno fatto essendo pienamente consapevoli dei rischi e dei pericoli che correvano. Ora girano sempre armati. Non direi che si è trattato di uno scontro tra civiltà tra ebrei e musulmani, si è trattato di una mobilitazione religiosa.

GB : La mobilitazione fondamentalista non fa più la stessa presa sui Cristiani.

GT : L’abbiamo vista all’opera anche nel Cristianesimo, ma per qualche motivo non abbiamo avuto un vero e proprio fondamentalismo cristiano in Europa, almeno in epoca recente. Penso che l’unica eccezione significativa sia quella polacca, i gruppi dell’Ave Maria, che sono molto attivi e hanno una colorazione di destra estrema, ma sono una corrente minoritaria. Nel complesso l’Europa è stata risparmiata da questo fenomeno, mentre negli Stati Uniti abbiamo soprattutto fondamentalisti protestanti, che costituiscono una parte importante della coalizione repubblicana. C’è poi anche l’ascesa degli induisti e anche dei fondamentalisti buddisti nello Sri Lanka. Anche questi ultimi sono militanti, ed estremamente violenti.

GB : Da dove viene secondo lei il fondamentalismo?

GT : Penso che il fondamentalismo rappresenti tuttora un enigma per la maggior parte delle società. Riflette certamente una sorta di disillusione. Il fondamentalismo islamico è il più facile da comprendere, probabilmente perché è in gran parte ancorato al 1967, alla guerra nella quale Israele sconfisse i nazionalisti secolari del mondo arabo. Dopo di allora c’è stato un fortissimo incremento delle tendenze e dei movimenti islamici, proprio perché i nazionalisti secolari erano stati screditati sul piano militare e avevano fallito su quello economico e sociale. Gli altri tipi di fondamentalismo sono più difficili da comprendere, con l’eccezione forse dello Sri Lanka, che è anch’esso interpretabile in termini di conflitto nazionale tra gli Singhali e i Tamil, ma che ha nondimeno una forte componente religiosa, nel senso che i monaci buddisti occupano un posto chiave tra le truppe del nazionalismo Shighali. I fondamentalismi protestante ed ebraico sono secondo me i più difficili da comprendere, perché non sono sorti tra i perdenti in un progetto secolare politico o sociale. La maggior parte dei fondamentalisti, protestanti o ebrei, americani sono persone appartenenti alle classi medio-alte, e sotto molti aspetti sono spesso persone di successo.

GB : Dove troviamo la risposta a questo enigma?

GT : Penso che la loro presenza metta in risalto i limiti della sociologia standard. Esistono evidentemente nelle persone delle correnti esistenziali sotterranee, che possono assumere queste forme, senza che noi capiamo perché questo sia accaduto, o perché non sia accaduto in Europa. Sì, anche in Europa c’è qualche fondamentalista ebraico, sei mesi fa sono venuto a sapere che almeno un paio di famiglie ebraiche svedesi si erano trasferite nei territori occupati, ma i coloni sono soprattutto americani. Esistono sette protestanti anche in Europa, ma nel complesso si tratta di un fenomeno molto marginale. È quindi una determinata identità esistenziale che assume le forme del fondamentalismo religioso, ma a quanto sembra ciò avviene soltanto in taluni contesti sociali e in taluni periodi storici, e mi pare che non ne abbiamo ancora capito il perché.

Published 27 November 2002
Original in Italian

Contributed by Reset © Reset Eurozine

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