La religione liberata

A theoretical note

Fine della religione? Niente affatto, secondo il sociologo tedesco Klaus Eder. Il numero delle religioni e dei credenti aumenta. La religione resta una relazione di senso al di là della scienza e della prassi politica. Resta “quel momento di una comune elaborazione di memorie, che nessun discorso pratico di successo e nessuna spiegazione scientifica sono in grado di compiere”. Ma la sua riapparizione nella sfera pubblica e mediatici non è priva di rischi.

L’ottimismo evolutivo delle teorie della modernizzazione ha subito, con riferimento proprio alla religione, un affronto particolare. Non ha infatti luogo, nel corso della modernizzazione, l’attesa avanzata della secolarizzazione del mondo. Sappiamo certamente che, da un punto di vista comparativo, l’Europa è stata la società più ampiamente secolarizzata (e si può anche dire: la società più atea). E che sul fronte opposto si collocano gli Usa e l’Iraq, che sono certamente da annoverare tra le società contemporanee più religiose.

Ciononostante la religiosità non è scomparsa. Davanti al sopravvivere di strutture di senso e ragioni d’azione che non sono né economiche né politiche, le scienze sociali hanno individuato tre vie attraverso cui rendere accessibili analiticamente questi ambiti fenomenici. Il primo è l’ampliamento del campo della religiosità come ambito civil-religioso. Il secondo è l’isolamento della religiosità nell’ambito dei “nuovi” movimenti religiosi. Un terzo è, infine, l’immagine di una religiosità ritiratasi nel mondo quotidiano privato, il divenire invisibile della religione.

La forza di collegamento istituzionalizzata (la “religio”) muta, viene ricostruita, e tuttavia rimane una relazione di senso al di là della scienza e della prassi politica. Rimane quel momento di una comune elaborazione di memorie, che nessun discorso pratico di successo e nessuna spiegazione scientifica sono in grado di compiere, e che allo stesso tempo è più di una consolazione soggettiva: la religione come quella forma in cui noi fondiamo il nostro passato in memoria, e che rappresenta una certa ineludibile forza di collegamento. L’orizzonte comune, incastonato in concetti come colpe, errori, coinvolgimento nel male, viene ricordato, tenuto presente e intrecciato con una forma speciale di comunicazione con questo passato.

Il compito speciale di questa comunicazione è la trasformazione del non-dicibile in dicibile. Quest’opera di traduzione non è arbitraria. Anche nell’ambito della comunicazione religiosa valgono delle regole, la cui peculiarità, data da concetti come il rito, è colta concettualmente solo nella forma esteriore. L’opera della religione consiste nello stabilire, con l’aiuto di un riferimento al non-dicibile, un raccordo del presente con un passato e con un possibile futuro. La religione consente infine di vivere in tradizione, di collocare il presente e il futuro in un passato: di vivere in una memoria condivisa con altri. La comunicazione religiosa rende lo spazio sociale una costruzione simbolica in cui in cui gli uomini possono poi capirsi e fraintendersi. Genera anche una Lebenswelt (“mondo della vita”, ndt) a cui chi ne prende parte può riconoscersi come appartenente. La religione, infine, costituisce uno spazio sacro in cui una comunità si conosce e riconosce.

La pluralizzazione religiosa

Lo spazio sacro, che viene reso accessibile attraverso la comunicazione religiosa, è accessibile agli altri solo oltre ostacoli particolari: l’Altro, nel momento in cui faccia irruzione, è un problema. Perché egli non solo è un estraneo, ma è anche uno che parla un’altra lingua, diversa da quella che rende comunicabile il non-dicibile. L’accesso al cosmo del comprendersi richiede una socializzazione particolare, un apprendimento particolare nell’agire rituale. Ciò spiega la speciale opera di inclusione e, ad essa collegata, la speciale opera di esclusione della comunicazione religiosa.

Il processo di globalizzazione, inteso come un’espansione di tecnologie che accelerano, comprimono e rendono accessibile a tutti la comunicazione, favorisce anche la religione, contro le supposizioni della teoria della modernizzazione. Questo fenomeno è spesso inteso, inopportunamente, come una razionalizzazione della religiosità. Ciò con cui abbiamo a che fare è, invece, una liberazione della religiosità. È un risultato della secolarizzazione, dello sganciamento della religiosità dalle strutture di potere politiche ed economiche.

A favore di questa ipotesi parlano anche indizi empirici. Il numero delle religioni e dei credenti aumenta. Oggi si contano 9900 religioni autonome, con una tendenza alla crescita, e ogni giorno se ne aggiungono due o tre nuove. Il cristianesimo conosce oggi 33.000 confessioni, contro le 1800 dell’anno 1900. Ne fanno parte le chiese gospel africane, la chiesa cristiana sudafricana di Sion, la Church of God Mission etc. Evidente, in questo fenomeno della pluralizzazione globale della professione di fede, è la sua omologia strutturale con la pluralizzazione religiosa che si è sviluppata negli Stati Uniti. Chiaramente la pluralizzazione religiosa è un fenomeno che avanza di pari passo con la modernità, e che a certe condizioni può avvenire da un punto di vista storico in modo più o meno veloce, e da un punto di vista quantitativo in modo più o meno intenso.

Nuovi movimenti religiosi

La crescita della religione nella modernità si ritrova non a caso nei cosiddetti “movimenti sociali”. I movimenti sociali sono forme della comunitarizzazione in cui diviene possibile l’agire collettivo, agire che si rivolge contro le forme istituzionali esistenti e in questo senso (e solo in questo senso) è preistituzionale. A questo fenomeno ci si riferisce con la sigla Nmr (New Religious Movements).

Il fenomeno dei movimenti religiosi è quantitativamente impressionante. Secondo le stime, alle chiese pentecostali di origine cristiana apparterranno nel 2050 circa 1 miliardo di persone. Gli ordini Sufi (Nakshanbandiya) contano circa 50 milioni di membri in India, e Cao Dai 3 milioni. Sokka Gakkai International (il “buddismo per capitalisti”) conta 18 milioni di appartenenti. Poi ci sono movimenti come il New Age, composti di diversi orientamenti.

La loro speciale struttura, collocata in contesti transnazionali, li sgancia dal modello istituzionale dominante nella società moderna, lo Stato nazionale. Gli spazi transnazionali, che si sottraggono ampiamente al controllo dello Stato nazionale, aprono spazi per ricerche di senso collettive, che sono invece chiuse nello Stato nazionale secolare, in particolare in Europa.

Le zone di conflitto

Un ulteriore momento dell’intensificazione della comunicazione religiosa è la dinamica interna di quelle religioni che si descrivono come religioni universalistiche e attraverso questa autodefinizione mettono in moto dinamiche conflittuali di natura particolare: in un primo tempo, battaglie tra doxa, ortodossia e eterodossia, che sono tipiche soprattutto di islam, cristianità e giudaismo, ma anche di induismo e buddismo; e, successivamente, battaglie tra il potere politico e il credo religioso, che hanno contrassegnato in particolare le religioni universalistiche. La battaglia tra le religioni universalistiche in nome della religione, o la repressione dei musulmani da parte degli induisti o dei cristiani da parte musulmana, sono forme di mobilitazione religiosa, che possono essere certe di una particolare attenzione pubblica.

Queste dinamiche conflittuali sono nuovamente stimolate dalla globalizzazione. Non si tratta più solo della reazione a una colonizzazione europea del mondo, in cui viene distorta la dinamica della formazione della tradizione religiosa, ma anche di una battaglia tra diversi progetti culturali di una società moderna. La battaglia dell’islam contro i paesi industrializzati è una battaglia per una particolare forma di appropriazione della tradizione, portata contro il modello europeo. Questa battaglia va – come tutte le battaglie culturali – dalla rappresentazione non violenta e pubblica della propria identità d’origine fino alla battaglia violenta, con mezzi terroristici, contro l'”opprimente” cultura degli altri. Ad un estremo sta la spiritualità dei cristiani asiatici e africani, in battaglia contro il Nord ateo. All’altro estremo sta l’identificazione del Nord secolare con il demonio, contro il quale si deve combattere in nome di Dio; perché – questo il messaggio – Dio è grande, e punirà severamente i paesi secolari.

Un’ulteriore forma dell’emergere delle pratiche religiose nella sfera pubblica attuale è dovuta alla politicizzazione dei movimenti religiosi. Essa spazia dalla risonanza pubblica che hanno avuto, specialmente negli Usa, i reportage che i media hanno fatto sulla persecuzione legale della New Age in Germania alla denuncia del trattamento ineguale delle tradizioni islamiche in Germania. La religione diventa pubblica mentre viene repressa. Questa persecuzione statale riceve una speciale qualità nel contesto degli Stati che cercano di delimitare e respingere le religioni in nome della secolarità. La battaglia di secolarità e religiosità incrementa la presenza pubblica proprio in quegli Stati secolari in cui la sfera pubblica è diventata principio regolativo del controllo democratico del potere statale.

La società post-secolare è il pendant contraddittorio e riottoso dello Stato secolare. Lo sviluppo di entrambi non è un gioco a somma zero, ma un gioco a somma positiva. Entrambi i processi sono accelerati e regolati tramite un terzo attore tra Stato e società: la sfera pubblica organizzata massmediaticamente.

Nuova religiosità e mass media

La visibilità pubblica della religione è legata al rafforzamento mass-mediale della comunicazione religiosa. Come tutti i movimenti, anche quelli religiosi esistono solo nella misura in cui ha luogo una comunicazione mediale su di loro. I movimenti religiosi hanno un valore di notizia, che viene sfruttato da loro stessi.

Questa forma copre tuttavia solo una parte della forma di comunicazione religiosa organizzata mediaticamente. È comunicazione che osserva la mobilitazione religiosa. Esiste poi quella forma in cui la stessa comunicazione mass-mediale assume la forma della comunicazione religiosa. Mi riferisco alle prediche televisive, ai discorsi religiosi, in cui la religiosità privata diventa pubblica. La distinzione tra privato e pubblico coincide nella virtualità della comunicazione mass-mediale.

Infine la stessa comunicazione mass-mediale assume la funzione di comunicazione religiosa: la creazione di una comunità di spettatori tramite talk-show e serie tv è strutturalmente omologa alla comunitarizzazione religiosa. Questa caratteristica della comunicazione mass-mediale si manifesta nella separazione tra politica/informazione e intrattenimento, dove politica e informazione stanno per il secolare, e l’intrattenimento per il non-secolare.

Così la comunicazione religiosa entra in concorrenza con la comunicazione secolare. La sfera pubblica come specificità di una società secolare, come luogo del dibattito critico tra cittadini pari ed uguali, diventa, allo stesso tempo, luogo della comunicazione non-secolare. La sfera pubblica critica rimane legata alla società definita dallo Stato nazionale, mentre la comunicazione non-secolare varca i confini nazionali e una opinione pubblica transnazionale produce una comunicazione non-secolare.

Il problema da elaborare teoreticamente non è il problema della secolarizzazione, inteso come dominio del modo di comunicazione “argomentativo-illuministico” su uno non-secolare e legato all’esperienza del senso. Il problema è la simultaneità della comunicazione secolare e non-secolare e la dinamica, ad essa collegata, di conflitto e sviluppo.

L’invisibilità pubblica della religione in Europa

La tesi di una svolta “fondamentalistica” della modernità, di un “processo di spiritualizzazione” globale, rimanda alla profonda ambivalenza del rapporto tra modernità e religione. Questa ambivalenza si trova già nell’osservazione empirica di un pluralismo religioso, leggibile nel crescente numero di confessioni cristiane, per non parlare delle molte chiese non-cristiane o anche del New Age. Questo pluralismo non produce solo nuovi conflitti religiosi. Favorisce anche quello spirito missionario che pone in conflitto la religiosità con lo spirito della Zivilität, lì dove l’Altro viene annullato in nome della religione. Il ritorno della religione nella sfera pubblica è legato proprio alla pluralizzazione della prassi religiosa, che fomenta i conflitti religiosi e distrugge la Zivilität. D’altra parte questo ritorno della religione provoca anche lo spirito secolare, la riflessione dell’orizzonte interpretativo di una società secolare.

Questa ambivalenza viene radicalizzata in Europa. L’Europa è il caso chiave per il rapporto tra secolarizzazione e società post-secolare. Perché essa è un continente secolare nel senso di una cultura in cui, in maniera autocosciente, il discorso razionale argomentativo ha assunto il primato rispetto alle altre forme di comunicazione. La secolarizzazione, quel processo di spodestamento politico delle istituzioni religiose, è allo stesso tempo un processo di liberazione di uno spazio di comunicazione pubblica. La secolarizzazione significa che nessuna comunicazione, nemmeno quella religiosa, sfugge al test del dibattito e della critica pubblica. Allo stesso tempo l’Europa è un continente post-secolare, in cui forme non istituzionalizzate di religiosità possono sviluppare una speciale dinamica proprio negli spazi sociali non più occupabili dalla religione istituzionalizzata, come spiega Hervieu-Léger.

La secolarizzazione significa per la coscienza religiosa una rottura nella tradizione del pensiero religioso, una frattura in ciò che contraddistingue la religiosità prima di tutto, ovvero il mettere a disposizione una lunga catena di memoria collettiva. La lunga memoria da un lato è stata messa in salvo nella sfera privata e dall’altro è stata usurpata dal potere politico: la memoria collettiva è diventata memoria della gloria dello Stato, del popolo o della nazione.

Nella sfera privata la religiosità viene disgiunta dalle strutture del potere sociale e della disuguaglianza sociale e viene trasferita nella sfera dell’individuo, in cui diventa allora socialmente invisibile, la “religione invisibile” appunto. Con la teoria dell’individualizzazione, la sociologia della religione ha aperto un punto di vista per cui la religione invisibile può essere concepita come parte della modernità avanzata.

Questo nuovo collegamento ha i suoi costi: prima le debolezze teoretiche, per reagire alle nuove forme di religiosità pubblica in modo diverso da una ipotesi di teoria regressiva, poi la perdita di una connessione teoreticamente convincente del fenomeno religioso con una descrizione macrostrutturale della società moderna. Entrambe le carenze diventano particolarmente visibili nel momento in cui la religione attira di nuovo l’attenzione pubblica su di sé e la relazione col potere e con la disuguaglianza diventa di nuovo parte del discorso pubblico. Nella misura in cui la teoria dell’individualizzazione perde la sua plausibilità empirica, anche la tesi della religione invisibile perde il suo contenuto euristico. La religione si rivela anzi come un campo di conflitti sociali e di battaglie, in cui sono in gioco ugualmente potere e disuguaglianza, riconoscimento e identità.

La sfera pubblica della religione in Europa

Il ritorno delle forme di espressione religiosa nella sfera pubblica della società europea scaccia la tesi dell’individualizzazione. La religione non è più solo una questione di esperienza privata, ma anche un mezzo di rappresentazione delle differenze sociali e della definizione dei conflitti sociali. La presenza di altra religiosità in Europa rende visibile la religione invisibile, come parte di una relazione macrostrutturale. La religione diventa un fenomeno sociale visibile.

Le convinzioni religiosamente “impregnate” (Habermas) urtano l’una contro l’altra nello spazio pubblico. Ne segue che la religione rappresenta un problema particolare per l’idea dello Stato secolare – la secolarità deve accordarsi con la nuova visibilità pubblica della religiosità e allo stesso tempo non è sufficiente come base per la produzione di un consenso post-secolare. Il senso comune democraticamente illuminato s’imbatte nei suoi limiti nella misura in cui le sue regole costitutive si tematizzano pubblicamente come regole “civil-religiose” e vengono difese con zelo missionario. L’etica proceduralistica dell’autodeterminazione democratica, quella religione implicita della modernità secolare, diventa oggetto di una riflessione pubblica in cui i confini tra queste forme tornano ad essere controversi.

In questo miscuglio diventa necessario stabilire più precisamente i confini tra l’argomentazione razionale e l’accertamento di un comune orizzonte d’esperienza e di senso. L’arrivo della religione nello spazio pubblico dell’Europa non è un nuovo incantamento dell’Europa, né un test storico sulla razionalità dell’Europa. È un caso della “dialettica” dell’appropriazione discorsiva dell’esperienza e delle esperienze della costituzione condivisa collettivamente. Con la formula “secolarizzazione nelle società post-secolari”, Habermas ha colto questo incrocio e si è riferito soprattutto all’esperienza europea. Ogni forma di accertamento preargomentativo di un orizzonte di mondo di vita, ogni Lebenswelt stessa deve superare nelle moderne società il “test di secolarizzazione”. Questo test consiste nel verificare se una identità particolarmente impregnata di Lebenswelt perlomeno non spezzi i vincoli civili con altre particolari identità. Si può portare avanti questa formula e dire che questo test di secolarizzazione – genuinamente moderno – non solo verifica che non siano spezzati i vincoli civili, ma serve anche a far sì che questi vincoli possano essere continuamente ricostruiti. Allora le Lebenswelt non sono solo civilizzate e domate, ma costitutivamente legate al processo di questa verifica razionale.

Ne risultano prospettive modificate per la concettualizzazione teoretica del rapporto tra religione e società moderna. Le Lebenswelt culturalmente impregnate sono collegate all’orizzonte trascendentale come alla comprensione collettivamente condivisa della propria Lebenswelt. Questo collegamento è ciò che fa la religione. Alcuni legami possono essere più forti o più deboli, possono essere catene lunghe o corte di memoria collettiva, e con ciò fondare identità collettive variamente forti. Allo stesso tempo, la società moderna richiede distanza riflessiva da queste memorie, un metodo di rapporto razionale con esse, che deve insieme assicurare sempre più la sua propria razionalità. Questa è l’opera della discussione discorsiva, la cui forma sociale è da ricercare negli spazi istituzionalizzati della comunicazione pubblica.

Finché la comunicazione discorsiva di una sfera pubblica, l’accertamento, in termini di Lebenswelt, di una relazione comunicativa poteva essere associata alla sfera privata, il problema della chiarificazione del loro rapporto poteva esser lasciato latente. Ma se la religione esce dalla sfera privata e diventa politica, allo stesso tempo anche la comunicazione pubblica si espande verso la comunicazione della Lebenswelt, e allora sono da attendersi effetti in entrambe le direzioni: difesa dello spazio pubblico puro o difesa della sfera privata pura, conquista dello spazio pubblico o conquista della Lebenswelt.

Una compenetrazione reciproca

Questo confronto tra la comunicazione pubblica come comunicazione secolarizzata in essenza e della comunicazione della Lebenswelt come comunicazione per essenza non-secolarizzata e anzi religiosa, non lascia intatto né il modo discorsivo della comunicazione pubblica né il modo di accertamento in termini di Lebenswelt di un orizzonte di senso comune. Ne deriva un processo di compenetrazione reciproca, in cui l’illusione dell’assenza di presupposti sociali di una comunicazione discorsiva viene distrutta tanto quanto l’illusione di una immunità discorsiva di una comunicazione religiosa.

Per una sociologia della comunicazione pubblica in Europa, questo significa che le convinzioni di fondo laicistiche sono da relativizzare, ed è da riformulare l’idea di uno spazio della comunicazione discorsiva riservato alla comunicazione politica. La sfera pubblica in Europa è il risultato del crescente intreccio degli spazi di comunicazione pubblici nazionali, in cui la pluralità dei giochi linguistici diventa un problema, scongiurato invece nel contesto nazionale grazie alla presenza di una lingua comune. L’ingenuità che le Lebenswelt si fondino su una lingua nazionale diventa chiara nella discussione sulla sfera pubblica europea. Lo spazio sociale post-nazionale è il luogo sociale in cui possono connettersi con il discorso pubblico gli orizzonti di Lebenswelt finora privatizzati e mantenuti latenti. Il processo di formazione di una moderna sfera pubblica in Europa, pertanto, non va più pensato come una continuazione di un processo di secolarizzazione avanzato in contesti nazionali, ma come appropriazione di particolari tradizioni, come via d’accesso per una società post-secolare. La comunicazione d’identità interviene nel discorso pubblico e ne mette a disposizione l’identità e l’indiscutibilità di una Lebenswelt nazionale.

Comunicazione religiosa e d’identità

Da un punto di vista della Lebenswelt, la problematizzazione di una sfera pubblica secolare che si rispecchi nella formazione di una sfera pubblica europea, si è associata al processo complementare di agganciamento di orizzonti di senso Lebenswelt ad una crescente comunicazione d’identità. La comunicazione d’identità è un’elaborazione effettuata su ciò da cui si viene e su ciò che si è diventati. La comunicazione d’identità è l’opera costitutiva della religione. Se, con Hervieu-Léger, intendiamo la religione come una catena di memorie, come elaborazione del passato, se la religione è ciò che assicura la memoria del passato e, come memoria, trascende il presente, allora la comunicazione dell’identità è infine una comunicazione religiosa.

Le società moderne hanno rispostato verso il soggetto questa comunicazione d’identità, rendendolo un problema e un progetto individuale. La comunicazione d’identità, che si sviluppa in forme sociali post-nazionali (o transnazionali), mette in discussione questa privatezza. In questa costellazione la comunicazione cresce sopra la memoria, che è comunicazione religiosa nel senso di Hervieu-Léger.

Quanto più moderna è la società, tanto più vasta diventa la comunicazione storica (che non deve essere più intesa come sapere sulla storia). La modernità consiste nella condensazione comunicativa della coscienza storica.

La condensazione comunicativa crea insicurezza, e questo fa parte dell’esperienza di fondo dell’illuminismo, e della modernità. Non ci si sottrae più all’accesso comunicativo. Questa creazione di insicurezza provoca la domanda di un orizzonte di senso comunitariamente condiviso. Il ricorso ad un’anima del popolo, ad una nazione culturale sono strategie contro la condensazione comunicativa del mondo. Ma hanno solo spostato il problema fondamentale. Anche il ricorso a una coscienza storica oggettiva fa parte di queste strategie. L’oggettività di un passato fornisce senso nel flusso della sempre più veloce comunicazione nella società.

Qui trova la sua collocazione teoricamente strategica il concetto di religione. La religione è il tentativo di fissare un identico nel flusso della comunicazione. Contro la condensazione comunicativa del mondo viene creato – nella prassi come nella teoria – un collegamento verso il trascendente. Però la condensazione comunicativa della coscienza storica non si ferma davanti a queste trascendenze: il ricorso ad esse sfugge al fenomeno della condensazione comunicativa.

La ricerca di una Lebenswelt che trascenda la soggettività dell’esperienza è il pungolo che costringe alla comunicazione religiosa. Ma una volta che si trovi una Lebenswelt, questo significherebbe anche la fine della comunicazione religiosa. Lì trova un fondamento il potenziale patogeno della comunicazione religiosa. Il potenziale patogeno nell’attuale ricerca di una comunicazione religiosa è da misurare fino al punto in cui rimangono comunicabili, e quindi discutibili, le ipotesi di Lebenswelt e le ipotesi di identità che su di esso si basano.

Una possibilità aperta dalla comunicazione di identità è la sua riflessività. Ciò che può essere trasportato nella comunicazione d’identità è un lavoro di memoria collettivo: cioè l’idea dell’illuminismo su se stesso. Questo significherebbe rinnovare e plasmare nel processo della radicalizzazione della modernità la memoria collettiva, che si è depositata nella patogenesi della modernità, per far funzionare l’elaborazione della memoria come illuminismo sull’illuminismo. E di ciò fa parte anche l’elaborazione della memoria sulla comunicazione fallita, l’elaborazione della memoria sulla comunicazione d’identità.

Un coro cacofonico di voci

L’associazione di sociologia della religione e sociologia del quotidiano ha dominato il secolo passato. Oggi accade che questo sguardo sociologico si allarghi nella direzione di una sociologia politica della religione. Le tradizioni di ricerca offrono punti di connessione. La domanda centrale, come e se la religione sia possibile in una società secolare, trova risposta nel caso europeo: quel continente che più ampiamente ha portato a termine un’esperienza di secolarizzazione nel senso di un’acuta divisione tra una sfera pubblica secolarizzata e una sfera privata non-secolarizzata, si mostra come il continente in cui la domanda di un orizzonte di Lebenswelt comune diventa oggetto di discorso pubblico. In questo nuovo incrocio di Lebenswelt e sfera pubblica, secolarità e società post-secolare, possiamo ascoltare molte voci che formulano orizzonti di Lebenswelt. In Europa – dove il campo della comunicazione della Lebenswelt è stato liberato da vincoli secolari – questo è un coro cacofonico di voci. La sociologia sta a sentire questo coro, e deve diventare sensibile e analiticamente competente per questo ascolto. Come sociologia della religione, rinnovata nello spirito di Durkheim, essa può mettersi sulle tracce della dialettica della moderna secolarizzazione e della formazione di Lebenswelt post-secolari.

L’articolo è stato presentato in occasione del convegno organizzato dalle riviste Reset e Dissent al Centro Studi Americani in via Caetani a Roma, il 20 e 21 ottobre, cui hanno partecipato, oltre a Klaus Eder, Mitchell Cohen, Michael Walzer, Gilles Kepel, Michael Kazin e tra gli italiani Giuliano Amato, Alessandro Ferrara, Paolo Pombeni.

Published 7 July 2006
Original in German
Translated by Daniele Castellani Perelli
First published by Reset 95 (2006)

Contributed by Reset © Klaus Eder/Reset Eurozine

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Read in: IT / DE

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